La moda è recessionista E i vip scoprono l’usato

Stop allo sfoggio di lusso e accessori glamour, ora il modello è la sobrietà di Michelle Obama. Julia Roberts agli Oscar ha ammesso di indossare un abito di seconda mano

La moda è recessionista 
E i vip scoprono l’usato

Recessionista batte fashionista 3 a 0 e stringe la cinta (non firmata) di uno-due buchi, segnando punti a favore d’una nuova tendenza più in linea con l’attuale precarietà globale. Terremoto di terra o terremoto di tasca, siamo tutti appesi a un filo e - finalmente - ne abbiamo un’asciutta consapevolezza, dopo la sbornia degli edonisti anni Ottanta. Un paio di mesi fa aveva cominciato quella biondina newyorchese (tipico colletto bianco Wasp), vista nelle tivù di tutto il mondo, mentre, in shorts di cotone felpato grigio, lasciava l’edificio, dove lavorava prima del crollo delle banche, scatolone d’ordinanza tra le mani e via andare, in sandali di gomma, verso il nulla della sua vita urbana: Wall Street l’aveva mollata con un sms, all’alba, causa crisi mondiale. E lei, seriosa, incarnava la moda survival proprio dentro la crisi: zero trucco, capelli puliti, lo stretto indispensabile addosso e addio Fifth Avenue, quella Quinta Strada così adorata dalle compulsive dell’acquisto, ormai fuori tempo massimo.

Però, che chic naturale! Chi ha visto la deliziosa commedia sciocca I love shopping, letteralmente: «amo comprare» (tratta dall’omonimo libro di Sophie Kinsella, una guru per ogni donna dalle mani bucate), ricorderà l’attrice americana Isla Fisher mentre si rovina la vita per acquistare un abito verde di Zac Posen, una cinta vintage da quaranta dollari e una borsa di Gucci. Il tutto, usando tre carte di credito a botta. Bene, quella scema di Rebecca Bloomwood, la shopping-dipendente che ogni uomo di buon senso evita, è roba di ieri. Oggi, persone come lei, che l’implacabile mondo della moda definisce «fashionistas», cioè seguaci della moda, vengono rimpiazzate dalle sorelle più giovani e neo-hippie, le «recessioniste». Ragazze appena licenziate, o giovani donne col marito rimasto senza lavoro, che si possono incontrare soltanto ai grandi saldi. Firmati, s’intende.

Anche il mondo della moda fa i suoi conti con la scarsità di denaro e allora s’impongono nuove icone. Basta con le burinate di Victoria Beckham, sempre addobbata come un lampadario, sia pur griffato. Benvenuta Julia Roberts, che ricevendo l’Oscar, col solito abito da gran sera, ma di seconda mano, lo disse a chiare lettere: «Vesto usato e mi trovo bene». Bandite le scarpe di pelle di coccodrillo, o di serpente, tacco dodici. Fine delle due «g» (glamour e gigantismo), simboli di un’altra epoca, spazzata via dalla recessione. La decade della decadenza è morta con la fine dei quattrini, del lavoro, delle risorse. E avanza un nuovo tipo di femminilità, che combina antichi valori (serietà, classicismo, sobrietà) e nuove penurie. Un esempio? La recessionista (costruita, va da sé, dal design, dalla moda e dalle riviste femminili di classe, vedi Vogue) non compra per comprare. La sua musa è Michelle Obama, che perlopiù si serve da un sarto cubano (Narciso Rodriguez), sostanzialmente vissuto come un poveraccio di sarto, bravo, per carità, ma pur sempre scampato a Fidel Castro. Altro che Valentino, buono per le edoniste alla Jackie Kennedy. Semmai, la recessione guarda a Grace Kelly, ai suoi raffinati twin-set (le nonne li chiamavano «argentine») buoni da giorno e da sera. Quella memorabile scena dal film hitchcockiano La finestra sul cortile in cui lei, pratica bionda tuttofare, s’installa a casa di lui (James Stewart), portando tutto l’occorrente in un minuscolo beauty-case, torna utile adesso, mentre di giorno non sappiamo se torneremo a casa, la sera, ammesso che la casa non l’abbia pignorata il fisco, o non sia finita in briciole, col terremoto. Naturalmente, ciò non significa che Miuccia Prada metterà in vendita le sue scarpe dal tacco vertiginoso ai prezzi di H&M, però la sua collezione primavera-estate ha già eliminato i colori trillanti e solari, da estate in Sardegna, preferendo insistere sui toni bruni e beige, più da brava segretaria un po’ in ferie, che da scialacquona allo champagne.

Eppure, la nascita della recessionista ci ricorda altri effetti congiunturali sul costume. Basti pensare agli anni Venti, quando la ballerina e cantante Josephine Baker si esibiva vestita da un casco di banane, con effetto sexy-pauperista. Oppure ai Sessanta, quando Mary Quant s’inventò la minigonna per risparmiare sulla stoffa: divertimento e consumo vanno comunque d’accordo.

Anche se la fine del capitalismo s’era annunciata con la moda hippy nei Settanta, in piena crisi del petrolio, al grido di: «Bruciamo il reggiseno!». Intanto, il magazine US Weekly s’industria a combattere la crisi, pubblicando una guida per trovare «i vostri jeans più hot sotto i 50 dollari». Come a dire: levateci tutto, ma non il sex-appeal.

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