È di moda la Korea

Dall’arte ai riti della K-beauty Travolti dall’onda "Hallyu"

È di moda la Korea

Hallyu è la nuova parola magica in ambiti creativi come moda, bellezza, musica e spettacolo, un incantesimo molto più potente di qualsiasi “abracadabra”. Significa “onda coreana” ed è anche il titolo di una mostra in corso fino al 17 agosto al Museo Rietberg di Zurigo. Grazie a un progetto espositivo del Victoria & Albert Museum di Londra, 200 oggetti tra costumi di scena, foto, spezzoni di film, opere d’arte antica e moderna raccontano l’epocale cambiamento della società sud coreana che in pochissimi anni è uscita dal più totale isolamento culturale per entrare nell’empireo di chi detta le tendenze internazionali. Il primo fenomeno da analizzare riguarda l’industria cosmetica che oggi a livello planetario è ossessionata dalla cosiddetta K-beauty, un mare magnum d’ingredienti, prodotti e rituali in salsa coreana. Gli esperti dicono che stanno cambiando perfino i canoni estetici e oggi anche in Italia si parla di “Ulzzang look”, ovvero l’aspetto pallido e lattiginoso con grandi occhi, labbra piccole e nasi all’insù dei modelli sud coreani. Ulzzang significa “miglior faccia”, ma è anche uno status consegnato al mito dai concorsi fotografici di Cyworld, un famoso social network asiatico. Sui social circolano invece svariate versioni dei sofisticati rituali cosmetici delle orientali. Elodie Joy Jaubert, autrice del delizioso manuale Sette riti di bellezza giapponese (Sonzogno) usa il termine inglese “layering”, ovvero “a strati”, per indicare la sequenza di gesti e trattamenti che vanno dalla pulizia alla protezione passando per tonificazione, idratazione, esfoliazione e riparazione. «In Corea si fanno tre passaggi in più e da loro abbiamo imparato il segreto della doppia detersione che impone prima l’uso di un detergente oleoso e poi di uno schiumogeno per asportare sia il trucco

sia i residui lasciati dall’inquinamento» spiega Alessandra Polla, direttore prodotto di Shaka, il beauty concept di OVS che al momento ha 450 shop in shop e tre negozi da 100 metri quadri ciascuno a Ferrara, Napoli e Pavia. «Conto di aprirne altri perché negli ultimi due anni da noi il beauty a parità di spazi è cresciuto del 20% raggiungendo oltre 100 milioni di euro su un fatturato globale di 1.6 miliardi» dice Stefano Beraldo, ad del Gruppo OVS. Sotto il nome Shaka che nella cultura surfistica hawaiana corrisponde a un gesto-simbolo di amicizia, relax e spensieratezza, ci sono circa 6000 referenze tra make up e skin care. Di queste 800 vengono dai 30 brand coreani selezionati da Alessandra Polla con un occhio di riguardo alla sostanza e uno ai fenomeni virali sui social media. Ecco quindi la linea per capelli Monday che impazza su Tik Tok oppure i prodotti di Tony Moli che hanno un packaging divertentissimo tipo lo stick per il contorno occhi a forma di panda. Infinita la varietà di maschere monouso tipiche della cultura coreana. Tra queste è davvero incredibile quella idratante di Biodance da applicare prima di andare a letto per ritrovarsi al mattino con la cosiddetta “dewy skin”, la pelle super idratata apparentemente illuminata dalla rugiada che è il punto d’arrivo delle giovani coreane per farsi fotografare davanti agli edifici storici di Seul con addosso l’hanbok, il vestito tradizionale da affittare nei negozi di souvenir per minimo 10 mila won (circa 7 euro). Per le loro complesse acconciature piene di boccoli Shaka propone Invisibobble, una specie di morbido bigodino lungo circa 20 centimetri da arrotolare nei capelli di notte per fare i ricci senza piastra. Anche Sephora, colosso del Gruppo LVMH vanta un notevole catalogo di prodotti coreani tra cui quelli del marchio Yepoda virale in rete e quelli ultra sofisticati di Beauty

of Joseon, brand che traduce in chiave moderna le antiche ricette del Gyu Hop Chang, il trattato scientifico scritto più di 200 anni fa da una studiosa coreana paragonabile solo a Hildegarda di Bingen, la mistica e naturopata tedesca beatificata da Papa Woitila. Tutto questo che in termini di business cresce a due cifre dappertutto dipende anche dall’industria dello spettacolo sudcoreana che ha prodotto fenomeni come il K-Pop dilagato nel mondo 13 anni fa con Gangnam Style, il brano- tormentone del rapper Spy il cui video ha avuto a oggi 5.548 miliardi di visualizzazioni. Poi è arrivato il cinema con un film magnifico come Parasite del regista Bong Joon-Ho, Palma d’oro al 72simo Festival di Cannes e 4 premi Oscar tra cui miglior film straniero nel 2019. In contemporanea sono esplose le serie televisiva per cui Netflix ha addirittura creato un’apposita sezione con capolavori assoluti come Squid Game, Winter Sonata e Avvocata Woo. A orchestrare questo rinascimento è KOCCA, acronimo di Korean Creative Content Agency, l’agenzia governativa che supporta l'espansione della creatività sudcoreana.

Il loro prossimo obbiettivo è la moda tanto che al Pitti Uomo di giugno la Corea sarà Guest Nation e oltre alle collezioni di marchi come Ajobyajo, Ordinary People, Okiolounge, Finoacinque, Mang, Jagoryu, Valoren, e Montsenu presenterà un’ampia panoramica di Hallyu, un onda che ormai è uno tsunami.

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