Le monache di Testori Dolori e passioni di un «artista moderno»

A quindici anni dalla sua morte, l'affinità profonda che legava Giovanni Testori alla realtà milanese è ancora viva. La città non ha dimenticato l'autore che l'ha tanto amata da renderla sfondo ideale di gran parte della propria produzione letteraria. Da oggi al 18 gennaio sul palco del Teatro i andrà in scena «Passio Laetitiae et Felicitatis»: tragica e tenerissima storia d'amore tra suor Felicita e l'orfana quasi bambina Letizia, tratta dall'omonimo romanzo di Testori del 1975. Opera poco conosciuta di un periodo artisticamente fecondo per lo scrittore milanese che concepì, tra le altre cose, la più nota «Trilogia degli Scarrozzanti» («Amuleto», «Macbetto» e «Edipus»), originale rivisitazione di argomenti e protagonisti del teatro classico. Ad interpretare l'adattamento teatrale di Valter Malosti di questa scrittura straordinariamente complessa - generata da un intreccio tra lingua e dialetto, recuperi arcaici, neologismi e forestierismi - un'appassionata Laura Marinoni nel ruolo di Felicita accanto alla giovanissima Silvia Altrui.
Un omaggio ad uno dei maggiori autori del Novecento letterario italiano arricchito da uno speciale «Focus su Testori». Tre occasioni di approfondimento realizzate in collaborazione con l'associazione a lui dedicata. Sabato lo spettacolo sarà così preceduto dall'incontro «Le Monache di Testori», un percorso attraverso testi, ricordi e suggestioni visive a cura di Giuseppe Frangi che vedrà Federica Fracassi e Valter Malosti impegnati a ripercorrere le figure monacali femminili testoriane, da «Tentazione nel Convento» alla «Monaca di Monza». L'11 e il 12 gennaio, invece, sarà la volta di «Le maddalene (da Giotto a Bacon)»: un progetto di e con Valter Malosti con musiche originali di Carlo Boccadoro, che nella giornata di domenica sarà seguito da un incontro di approfondimento condotto da Lucia Bonacina e Fiammetta Galliani dell'Associazione musica e teatro dell'Università Statale di Milano. Proposte che offrono l'opportunità di avvicinarsi ad una personalità umanamente e artisticamente complessa, segnata da un altrettanto complesso rapporto con la sua intensa religiosità. «Davo e do fastidio perché c'è uno scrittore che è cristiano»: così infatti Giovanni Testori spiegava al critico Fulvio Panzeri la scarsa attenzione che la maggiore critica letteraria gli rivolse durante la sua lunga carriera creativa, soprattutto nell'ultimo periodo della sua vita. Una vita trascorsa nella spasmodica ricerca del suo senso ultimo, ricorrendo però alla concretezza dell'esperienza artistica e non all'astrazione filosofica con risultati spesso sconvolgenti. Sconvolgenti perché innovativi e quasi ingenuamente privi di qualsiasi retorica, come sempre sono le opere degli artisti moderni, tutti inevitabilmente destinati alla maledizione di non essere del tutto compresi e apprezzati nella propria epoca. «Credo che pochi artisti italiani portino nella propria figura le stimmate dell' "artista moderno" come Giovanni Testori - osservava Piero Citati nel 1971 -. Il suo bisogno fatale di andare oltre, sempre più avanti e lontano, dove nessuno possa sostare con lui: il suo disperato desiderio di conoscere il peccato, la dannazione, il rimorso e il delirio; e la fredda volontà di costruirsi, giorno per giorno, ora per ora, libro per libro, un destino tragico, cosa più moderno di questo?».
E quale segno più evidente della sua modernità se non la straordinaria versatilità che lo ha reso scrittore, drammaturgo, pittore, critico d'arte, poeta, regista, attore? Attività non vissute separatamente, ma fuse in un unico slancio di creatività tumultuosa.

Così, per esempio, la sua scrittura rimaneva prevalentemente teatrale anche nelle opere di narrativa, che tanto hanno in comune con i frutti del suo intenso lavoro drammaturgico: una passione mai abbandonata dopo l'esordio negli anni '60 al Piccolo Teatro di Milano e indissolubilmente legata al sodalizio artistico con personaggi del calibro di Luchino Visconti e Franco Parenti.

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