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Mondadori, scontro sulle motivazioni Berlusconi: allibito, enormità giuridica

In 176 pagine il giudice spiega perché Fininvest deve pagare 750 milioni a De Benedetti. E accusa il Cavaliere: "Corresponsabile della corruzione per Mondadori". Il premier: "Allibito, ma vado avanti cinque anni, non c’è nulla che potrà farci tradire il mandato degli italiani". Csm, 15 giudici chiedono una pratica a difesa del giudice Mesiano. Il giudice regala a De Benedetti altri 45 milioni

Mondadori, scontro sulle motivazioni 
Berlusconi: allibito, enormità giuridica

Milano - Silvio Berlusconi non poteva non sapere della corruzione del giudice Metta, chiamato nel 1991 a decidere chi dovesse controllare la casa editrice Mondadori. Perchè i soldi finiti al giudice venivano da un conto estero della Fininvest, e Berlusconi era all'epoca il numero uno del Biscione: «Sarebbe assolutamente fuori dall'ordine naturale degli accadimenti umani che un bonifico di circa 3 miliardi di lire sia disposto ed eseguito per finalità corruttive senza che il dominus della società, dai cui conti il bonifico proviene, ne sia a conoscenza e lo accetti. Pertanto è da ritenere che Silvio Berlusconi sia corresponsabile della vicenda corruttiva, corresponsabilità che come logica conseguenza comporta la responsabilità della stessa Fininvest».

É questo il passaggio centrale delle motivazioni della sentenza con cui il giudice milanese Raimondo Mesiano ha condannato il gruppo Fininvest a versare alla Cir di Carlo De Benedetti il gigantesco risarcimento di 750 milioni di euro. Tutto nasce, come è noto, dalla condanna per corruzione del giudice Vittorio Metta, componente della Corte d'appello di Roma che nel 1991, annullando il «cosiddetto «lodo Mondadori», risolse a favore del Cavaliere lo scontro con De Benedetti per il controllo della casa editrice. Insieme a Metta è stato condannato per corruzione Cesare Previti, all'epoca avvocato di Fininvest. Ma, a sorpresa, ora il giudice Mesiano non si limita a prendere per buona la condanna penale di Previ e Metta e a tradurla in un giudizio civile. Mesiano invece ripercorre, interpreta e giudica l'intera vicenda. Analizza la decisione della Corte d'appello di Roma, e stabilisce che - anche a prescindere dalla corruzione di Metta - fu una decisione sbagliata. E soprattutto mette sul banco degli imputati Silvio Berlusconi, che dal processo penale uscì prima per assoluzione e poi per prescrizione. Berlusconi è colpevole, scrive invece Mesiano. Anche se ricorda che davanti alla giustizia civile servono prove più vaghe di quelle necessarie in sede penale: tanto che, afferma, si può arrivare alla certezza anche attraverso un semplice ragionamento: «Il tribunale ritiene qui di poter fare pienamente uso della prova per presunzioni, che nel giudizio civile ha la stessa dignità della prova diretta».

LA SENTENZA DI ROMA Il giudice Mesiano analizza le presunte «anomalie» della sentenza che diede ragione alla Fininvest, a partire dalla sua assegnazione al giudice Metta: «A parere di questo tribunale un primo elemento indiziario che denota l'anomalia del procedimento civile presso la Corte d'appello di Roma è rappresentato dalla assegnazione della causa al giudice Metta». «Si ricava il convincimento di una fortissima concentrazione di cause e di potere nella persona del consigliere Metta, ciò che destò le critiche all'epoca anche della sezione romana di Magistratura Democratica». Tra le altre anomalie, la rapidità con cui venne depositata e battuta a macchina la sentenza, e le indiscrezioni che circolarono sull'esito prima che venisse ufficialmente annunciato.

Ma Mesiano affronta anche il contenuto della sentenza, anche dando atto che affrontava un tema assai complicato come la validità dei patti di sindacato: «Ritiene il tribunale che la questione della validità dei patti di sindacati azionari era nei primi anni '90 ancora molto dibattuta nella dottrina e nella giurisprudenza italiana. Certamente gli argomenti della sentenza Metta hanno un loro valore, ma lo stesso deve dirsi degli argomenti di Cir. Si trattava, in sostanza, di questioni opinabili e certamente non è su questa parte della motivazione che il tribunale fonda il proprio convincimento sulla ingiustizia della sentenza Metta». Eppure la conclusione è che il «lodo» non poteva essere annullato perché la Corte d'appello non poteva entrare nel merito della decisione: «In ciò, come già ritenuto dal Tribunale, sta la grave forzatura e la grave ingiustizia della sentenza della Corte d'appello di Roma».

Mesiano affronta anche un altro nodo decisivo: il fatto che la sentenza che dava ragione a Berlusconi sia stata presa non dal solo Metta ma da altri due giudici, Valente e Paolini, mai accusati di essersi fatti comprare da Fininvest. Ma ha una risposta: «Appartiene al notorio presso gli operatori del diritto che nelle cause civili collegiali il giudice relatore, che conosce bene gli atti ed ha studiato e approfondito i problemi di fatto e giuridici, è in una posizione tale da poter quasi sempre influenzare il resto del collegio». Basta corrompere uno dei giudici, il relatore, ed è fatta: «Un caso di sentenza civile emessa da un collegio di cui uno dei componenti sia corrotto si ha un vizio radicale nella imparzialità e quindi nella stessa capacità» dell'intera Corte. Certo, non c'è la certezza che Metta abbia fatto fare agli altri giudici quel che voleva: «ma il presente è un giudizio civile che ha ovviamente uno statuto probatorio meno garantistico di un giudizio penale: se in un giudizio penale i fatti che costituiscono il fondamento del giudizio di responsabilità devono essere provati adilà di ogni ragionevole dubbio, la regola che stabilisce la soglia probatoria necessaria per il giudizio di responsabilità civile è quella del "più probabile che non". Sulla base della soglia probatoria operante nel diritto civile, può dirsi che è assai probabile che Metta abbia concretamente condizionato il collegio nel senso di orientare la discussione nel senso da lui ritenuto più utile».

IL RUOLO DI BERLUSCONI É il passaggio più delicato della sentenza, quello che porta alla condanna di Fininvest al risarcimento. Mesiano ricostruisce i flussi di denaro tra i conti esteri della Fininvest e quelli di Previti e altri avvocati. Arriva a ritenere provato - anche in assenza di un passaggio documentato - che i 400 milioni di lire con cui il giudice Metta comprò una casa, provenivano da quelle disponibilità. E a quel punto affronta il ruolo del Cavaliere, che dopo essere stato assolto dal giudice preliminare venne prosciolto per prescrizione dalla corte d'appello.

«In primo luogo - scrive Mesiano - va messo in evidenza che la provvista di denaro con il quale fu corrotto il giudice Metta proveniva dal conto Ferrido di Fininvest. Infine è vero che la corruzione del giudice Metta rifluì a tuto vantaggio di Fininvest che - grazie alla sentenza ingiusta resa dalla Corte d'appello di Roma - ebbe la possibilità di trattare con la Cir la spartizione del gruppo Mondadori da posizioni di forza. Tanto premesso occorre adesso esaminare i rapporti tra Fininvest e l'on Silvio Berlusconi, attuale presidente del consiglio dei ministri, ed i rapporti tra la stessa Fininvest e Cesare Previti».

«Silvio Berlusconi era all'epoca dei fatti presidente del consiglio di amministrazione».«I conti All Iberian e Ferrido erano accesi su banche svizzere di cui era beneficiaria la Fininvest. Non è quindi pensabile che un bonifico dell'importo di circa 3 miliardi di lire potesse essere deciso senza che il legale rappresentante, che poi era anche amministratore della Fininvest, lo sapesse e lo accettasse. In altre parole, il tribunale ritiene qui di poter fare pienamente uso della prova per presunzioni, che nel giudizio civile ha la stessa dignità della prova diretta».

IL CALCOLO DEL DANNO
«Se è vero che la Corte d'appello emise una sentenza indubbiamente ingiusta come frutto della corruzione di Metta, nessuno può dire in assoluto quale sarebbe stata la decisione che un Collegio nella sua totalità incorrotto avrebbe emesso: si vuole cioè dire che una sentenza ingiusta avrebbe potuto essere emessa anche da un collegio nella sua interezza non corrotto. Proprio per questo appare più aderente alla realtà determinare concettualmente il danno subito da Cir come danno da perdita di chance: vale a dire, posto che nessuno sa come avrebbe deciso una corte incorrotta, certamente è vero che la corruzione del giudice Metta privò la Cir della chance di ottenere da quella Corte una decisione favorevole».

Mesiano, seguendo le richieste della Cir, stabilisce il danno su quanto De Benedetti avrebbe incassato se fosse andata in porto la mediazione officiata da Mediobanca prima della sentenza, e quanto dovette versare in seguito all'accordo finale. Sono 550 miliardi di lire, cui vanno aggiunti interessi e altri danni. Il totale è astronomico: 973 milioni di euro. Che per il ragionamento sulla «perdita di chance» vanno risarciti da Berlusconi all'Ingegnere «solo» all'80 per cento.

Totale: 750 milioni.

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