Mondiali, clochard in campo «Il pallone? Dateci un lavoro»

Oltre al danno, anche la beffa. Mentre i giocatori della nazionale italiana homeless sono in ritiro in Abruzzo - tutti tranne uno, rimasto alla tendopoli del parco Forlanini a vigilare sulla sua famiglia per paura di ulteriori sgomberi - per allenarsi, e per reclutare dei giocatori tra gli sfollati del terremoto, l’homeless world cup, l’ente che organizza i campionati di street soccer in tutto il mondo ha mandato ai giocatori un «curioso» documento. Si tratta del contratto che la Nuova Multietnica, così si chiamano gli azzurri senza tetto, dovrebbe firmare se vuole rappresentare l’Italia ai prossimi mondiali che si disputeranno in Brasile: nel contratto si richiede alla squadra che si impegni a garantire casa e lavoro agli atleti che vorranno partecipare alla trasferta. «Ma come? L’organizzazione che ha come scopo proprio quello di aiutare i senza tetto a cambiare vita chiede a noi, che siamo senza casa e senza lavoro, di garantirci un’occupazione?» ripetono in coro i giocatori.
E il pensiero vola a Florin, giocatore romeno, la cui moglie è gravemente malata e ricoverata al San Raffaele in attesa di un’operazione al fegato. «Mi hanno detto che non sanno se potranno operarla - spiega Florin -: i medici dicono che non può passare la convalescenza nelle tende da campo, e che devo trovare una casa per proteggere mia moglie e aiutarla a guarire. Nessuno mi dà lavoro, mi dicono che serve il permesso di soggiorno, ma io sono romeno. E dal Comune nessuno ci aiuta». «Il Comune ci ha abbandonato - si lamenta il ct della nazionale, Bogdan - l’unico aiuto che abbiamo avuto dalle istituzioni è stato l’uso del campetto all’Idroscalo per gli allenamenti e pochi soldi per comprare l’attrezzatura. Tutto qui». Ma il senso della Homeless world cup, che vanta il patrocinio della presidenza del consiglio, oltre che di tutte le istituzioni locali, sarebbe proprio quello di aiutare gli atleti che partecipano non solo a trovare il coraggio per cambiare la propria vita, ma anche una mano concreta.
«Stiamo lavorando - spiegano dall’Homeless world cup - e lavoreremo nei prossimi quattro anni per creare altre situazioni di questo genere, ovvero tornei e altri eventi sportivi: crediamo profondamente che lo sport sia lo strumento primo di aiuto sociale. Il nostro sogno è dare vita a un torneo nazionale». Intanto l’assessore comunale allo sport Alan Rizzi sta lavorando per individuare un’area dove poter sistemare il capo da street soccer che rimarrà in eredità agli homeless di Milano: «Sto cercando di trovare un’area dove inserire il campo, anche se sembra che le cose stiano cambiando, in meglio: Milano potrebbe diventare la sede centrale di un campionato italiano dei senza tetto».
Gli homeless comunque non si perdono d’animo e hanno deciso di fare da soli: «Visto che dalle istituzioni non arriva nessun aiuto - attacca il ct Bogdan Kwappik - ci stiamo organizzando da soli per lavorare a fianco delle istituzioni». I giocatori della Nuova Multietnica stanno pensando di costituirsi in cooperativa per potere lavorare per conto dell’amministrazione: «potremmo occuparci dei parchi, pulire degli spazi, insomma siamo disposti per cominciare a fare qualche lavoro umile per sistemarci e iniziare a cambiare vita».

Morale? Chi fa da sé fa per tre.

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