da Milano
Fratelli maggiori alla riscossa. Dopo decenni di invidie per lultimo arrivato in famiglia, supercoccolato e viziato, si rifanno con uno studio scientifico che decreta: «Il primo figlio è il più intelligente». Si consolano così i primogeniti, per controbilanciare il peso di essere, da sempre, caricati di responsabilità verso i cadetti. I cocchi di mamma, cui i genitori perdonano tutto e cui sono concessi lussi e permessi che il primo nato si è dovuto sudare con lunghe litigate. Ma forse proprio questo percorso di conquiste e di dialettica, insieme alla precoce responsabilizzazione, sta allorigine di un quoziente intellettivo in media più alto.
È lipotesi formulata da un gruppo di ricercatori norvegesi che ha misurato il quoziente intellettivo a ben 241.310 giovani maschi tra i 18 e 19 anni. Dai risultati, pubblicati sulle autorevoli riviste Science e Intelligence, risulta una differenza di circa 3 punti nei test cui sono stati sottoposti i soggetti. Un campione molto ampio, costituito dai maschi che hanno fatto la visita di leva tra il 1967 e il 1976. Secondo i ricercatori, la tesi varrebbe anche per le femmine.
Il punteggio dei primogeniti è, in media, di 103,2 contro i 102,9 dei secondogeniti e di 100 per i terzogeniti. Ma se i fratelli maggiori sono morti piccoli, la media dei terzi nati sale a 102,6. «È la prova che non conta strettamente lordine di nascita, ma soprattutto il rango sociale allinterno della famiglia», hanno concluso Petter Kristensen e Tor Bjerkedal delluniversità di Oslo e del «Norwegian armed forces medical services», i due principali autori della ricerca. A fare la differenza, dunque, non è tanto lessere il più grande, ma il crescere come tale: spesso gli viene affidato il compito di accudire i fratellini e la fa da padrone nel decidere i giochi. Così diventa più disciplinato, ambizioso e responsabile.
Una spiegazione che Frank Sulloway, unautorità allUniversità di California in questo settore, condivide: «Il maggiore emerge forse perchè è costretto a far da guida ai minori e in questo processo impara a organizzare e elaborare meglio il pensiero», spiega lesperto.
Si rafforza così la tesi che lintelligenza non sia solo una condizione biologica, ma venga in gran parte determinata dall'ambiente familiare. E perdono importanza fattori genetici, andamento della gravidanza e ambiente pre-natale.
La scoperta del team di epidemiologi norvegesi, che ha raccolto dati statistici sullo stato di salute e le condizioni familiari, oltre che sul Qi dei 240mila ragazzi, è lultima tappa di un dibattito scientifico che va avanti da secoli. La questione aveva appassionato lo scienziato Sir Francis Galton: già nella seconda metà dell800, il fondatore delleugenetica argomentava che gli uomini in posizioni influenti erano prevalentemente primogeniti.
È comunque già arrivata leccezione a confermare lo studio degli scienziati norvegesi. Si chiama Georgia e vive ad Aldershot, nellHampshire. Ha solo due anni, ma è diventata il più giovane membro femminile di Mensa, il club dei cervelloni. La bimba è lultima di cinque fratelli e, contrariamente a quanto sostengono i due norvegesi, sembra abbia sviluppato una rara intelligenza proprio imparando molto dai fratelli più grandi.
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