Arte

Il mondo perduto in una fotografia

Al Mag (Museo Alto Garda) le immagini di Skulina fanno riscoprire il Garda prima del turismo di massa. Una mostra poetica e rigorosa

Il mondo perduto in una fotografia

La scoperta di un artista, e tanto più di quella specie strana che sono i fotografi (e proprio quelli che non vogliono essere, e non vogliono essere chiamati, artisti), è una festa, una festa della intelligenza e della conoscenza, rara, fra tante finzioni e mistificazioni, che devo alla fortunata opportunità della presidenza del Mag (Museo Alto Garda) e all'incontro con il semplice e austero Matteo Rapanà, direttore della stessa istituzione. Ci dividiamo l'impresa: io propongo mostre e artisti di collaudato richiamo, talvolta anche in chiave sperimentale; lui propone più o meno conosciuti maestri locali, di ancora instabile riconoscimento. Cosi è stato l'anno scorso con il pittore neoimpressionista e neoespressionista Luigi Pizzini.

Così è, con mio maggiore entusiasmo, quest'anno con Giovanni Skulina, fotografo più che sorprendente e, direi, preterintenzionalmente, locale. Forse per i temi, per i soggetti; ma con una forza di visione assoluta e degna dei grandi maestri della fotografia internazionale, come Brassaï o Sander, dominatori policromi nel sentimento del bianco e nero. Con spirito curioso e infaticabile, Skulina ha percorso in lungo e in largo i paesi affacciati sul lago di Garda tra gli anni Trenta e Cinquanta, raccontando gli ultimi momenti di un mondo ancora rurale mentre si affacciano negli stessi luoghi attività legate non più alla villeggiatura (termine desueto come l'attitudine), ma al turismo di massa che da lì a poco avrebbe preso il sopravvento. Proprio Skulina, che alla fine abbandona il mestiere di fotografo per quello più redditizio di operatore turistico, è l'emblema esistenziale di questa trasformazione, i cui effetti si intravedono nelle fotografie in mostra. Nel presente turistico, nuovi alberghi di lusso, bancarelle con prodotti tipici (o presunti tali) e villeggianti ineleganti che scendono meravigliati dai pulmini turistici si contrappongono al convivente passato di scorci di borghi non ancora alterati dall'urbanizzazione, di cerimonie religiose lungo strade di terra battuta, e di contadini legati ai mestieri tradizionali, nell'immutabile scorrere delle stagioni. Non ci sono più le stagioni di una volta... Tutto è cambiato con il riscaldamento globale, per ogni futuro Skulina. Ma non come lui implacabile, oggettivo, severo. Vero.

Dopo quasi settant'anni di oblio, Skulina, nuovo come fu antico, ritorna con le sue straordinarie testimonianze fotografiche, ancora inedite, di un mondo perduto, che abbiamo intatto davanti. L'attività fotografica della famiglia Skulina inizia alle fine dell'Ottocento, quando Johann, nonno di Giovanni, si trasferisce da Friedek, nell'attuale Repubblica Ceca, ad Arco. Qui nel 1897 apre un negozio in cui vengono venduti giornali, valori bollati e souvenir, con annesso un piccolo laboratorio fotografico. Durante la Prima guerra mondiale il negozio viene danneggiato dall'esplosione di due granate e gli oggetti d'uso sono in parte rovinati, e perduto il materiale fotografico.

Alla fine degli anni Venti la famiglia Skulina apre un secondo negozio con annesso laboratorio fotografico a Torbole, di cui Giovanni diventa titolare, con la licenza di fotografo, nel 1931. Per un periodo gestisce contemporaneamente i negozi di Arco e Torbole. A causa della crisi economica, nel 1939 è costretto a chiudere il negozio e a trasferire il laboratorio fotografico nella propria abitazione a Torbole. Qui, nel maggio del 1945, un'incursione di soldati americani provoca la dispersione di tutto il materiale, la seconda. Si salva solo una manciata di cartoline. L'indomito Giovanni Skulina inizia, così, a lavorare come fotografo ambulante. In questi anni si sposta continuamente da una località all'altra dell'Alto Garda, eseguendo i notevolissimi ritratti della popolazione locale e stabilendo un rapporto con i luoghi e le persone fatto di una conoscenza intima e capillare, di notevolissimo significato antropologico. Che oggi ci sorprende e ci è necessaria.

Le sue fotografie mostrano la ripresa del dopoguerra, e documentano con rigore e pulizia formale un'epoca e le sue condizioni sociali. Le immagini di Skulina raccontano non solo gli episodi fondamentali della vita di paese, matrimoni, comunioni, processioni, ma descrivono anche il fiorire moderno dei luoghi dell'ospitalità, gli alberghi o il Casinò, e gli avvenimenti sportivi e ricreativi che animano questi anni. Un'importante componente della attività di Skulina è la documentazione, tanto poetica quanto rigorosa, delle attività produttive nell'Alto Garda. Egli realizza un prezioso mosaico del singolare momento, tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, in cui ai tradizionali lavori agricoli si affiancano gradualmente le nuove professioni del settore turistico e industriale. Fino alla metà degli anni Cinquanta il lavoro agricolo è ancora preponderante, come testimoniano molte fotografie della perduta vita contadina: le ragazze sorridenti nei campi di tabacco, la trebbiatura nella piazza del paese, la raccolta delle olive. Immagini che oggi appaiono testimonianze di un mondo che sarebbe svanito nel volgere di pochi anni, travolto dall'incalzare della modernità e della inarrestabile industrializzazione anche nel Trentino.

Contemporaneamente, dopo il secondo conflitto mondiale, i turisti tornano a frequentare il lago di Garda, e si potenzia l'accoglienza. Skulina ha la capacità, senza cedere alla nostalgia, di cogliere la vivacità del momento, e avvia un'impresa che unisce fotografia e turismo. Nasce la Guida Turistica Skulina, per accompagnare i turisti, soprattutto olandesi, attraverso i luoghi più suggestivi del Trentino. Le escursioni offrono l'occasione perfetta per le fotografie che gli ospiti chiedono per portare con un sé il ricordo delle atmosfere del lago e delle esperienze vissute. Il successo, che io ricordo per le spedizioni sul lago con mio padre, è tale che, sul finire degli anni Cinquanta, Skulina smette di seguire le comitive, lasciando alle sue collaboratrici, una decina di ragazze olandesi, le macchine fotografiche con le quali fermare i momenti indimenticabili del viaggio.

Il suo è nella storia di una vita in due mondi.

Con un solo occhio.

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