Guerra in Ucraina

Assedio alla "fortezza-Russia". Ma Putin si preparava da anni

Le sanzioni possono colpire duramente l'economia russa. Ma le scelte degli ultimi anni del Cremlino segnalavano la voglia di Mosca di sganciarsi, in parte, dai legami con l'Occidente

Assedio alla "fortezza-Russia". Ma Putin si preparava da anni

È difficile capire cosa abbia in mente Vladimir Putin. In questi giorni gli analisti hanno provato a delineare il quadro delle strategie vere o presunte del Cremlino, cercato di interpretare i segnali e i messaggi che giungevano dal suo inquilino. Ma per adesso - forse - quello che sorprende ancora di più l'Occidente è la capacità del presidente russo di fare esattamente quello che dice. Un decisionismo che ha riportato le lancette della storia europea indietro nel tempo, ma che sembra soprattutto avere disegnato una profonda divisione tra due modi di vivere la leadership e la politica, autoritarismo interno ma anche internazionale. Si pensava che fosse un bluff di un giocatore di poker. Ma quello che sta avvenendo in queste ore è soprattutto la mossa di un judoka, come appunto lo è Putin: sfruttare la debolezza dell'avversario, assecondarla, per poi vincere.

L'Occidente si sta mostrando unito di fronte ai missili che piovono su Kiev, e questo è un punto su cui Nato, Ue e Usa possono ripartire. Ma la sua debolezza è parte integrante delle scelte putiniane. Una debolezza che è stata anche miopia, in cui adesso si scopre abbastanza inerme di fronte alle decisioni di Mosca, che anche sul fronte delle sanzioni rischia di saper sfruttare anni di sottovalutazione dei rischi.

Perché quella che Putin ha costruito nel corso degli anni non è una superpotenza economica, né una potenza in grado - a livello finanziario - di rivaleggiare con le potenze occidentali. Ma, come ricordato da diversi esperti, è una potenza che nella sua fragilità economica ha saputo rendersi sempre meno scoperta sul fronte internazionale, consolidando una posizione "autarchica".

Morya Longo, nell'edizione di oggi de Il Sole 24 Ore, cita alcuni dati interessanti. Il debito pubblico russo all'estero è sempre più ridotto, ha 630 miliardi di dollari di riserve: 150 miliardi in oro. Negli anni questa cifra si è ridotta, specialmente quella che fa riferimento alla moneta americana. E da quando Mosca ha deciso di blindare le proprie posizioni rivendicando uno spazio di influenza come quello che aveva ai tempi dell'Unione Sovietica o dell'Impero, ha cominciato a sviluppare delle formule di sopravvivenza economica e finanziaria per evitare di essere in balia dell'Occidente. Scelte che hanno costruito una "fortezza", come la chiamano gli esperti, che di fatto può sopravvivere per mesi, se non anni, anche di fronte al più duro embargo messo in campo dal blocco Ue e Stati Uniti.

Questo non significa che l'economia russa non soffra le sanzioni. Qualcuno ricorda che le misure messe in campo nel 2014, quando Mosca decise di annettere la Crimea, hanno rosicchiato diversi punti percentuali di Pil. Ma basta leggere i dati dell'export di gas e petrolio per dare un quadro dei pro e dei contro della conflittualità tra Occidente e Russia. "Ogni singolo giorno, secondo i calcoli di Bloomberg, vende 3,5 milioni di barili di petrolio e 275 milioni di metri cubi di gas a Europa, Stati Uniti e Gran Bretagna, incassando qualcosa come 700 milioni di dollari. Ogni 24 ore" scrive il quotidiano finanziario riferendosi alla politica del Cremlino. Bloccare le materie prime colpirebbe la Russia? Certo. Ma colpirebbe prima l'Europa. Colpire il sistema finanziario russo, sganciandolo dal sistema Swift, sarebbe un colpo duro? Sicuramente. Ma Mosca anche in questo caso ha iniziato da anni una politica di diversificazione dei circuiti finanziari. E se l'Europa può dire di avere un'economia decisamente più forte di quella russa, d'altro canto è proprio la Russia a poter sopravvivere forse anche meglio rispetto alle misure messe in campo dall'Occidente.

L'impressione è che per anni si sia pensato che quello di Putin fosse solo un metodo e non una vera e propria strategia nel breve e medio termine. Impossibile comprendere, per ora, gli effetti sul lungo. Perché lo "zar" deve mettee in conto un pericoloso isolamento non privo di conseguenze interne sianell'opinione pubblica che negli apparati dello Stato profondo. Ma le debolezze dell'Occidente, in particolare dell'Europa, sono state talmente evidenti da far sì che il Cremlino potesse in questi anni non solo prepararsi militarmente all'azione, come osservato con la guerra in Ucraina e prima ancora in Siria, ma anche a prevederne le conseguenze.

Questo non significa prevenirle in tutto: le sanzioni possono colpire duramente le capacità di Mosca di finanziarsi altrove, di colmare il gap tecnologico, e rischiano di concedere la Russia alle mire cinesi (cosa che non piace a molti). Tuttavia, rovesciando il punto di vista, appare difficile applicare il nostro modello di pensiero a quello che invece domina nelle stanze del potere del Cremlino. L'idea dei due blocchi diventa in questo caso non solo militare, ma anche di filosofia del potere: Putin è disposto a pagare le conseguenze delle sue azioni. L'Occidente invece deve ancora accettare di dover dare un prezzo alla propria essenza.

E se è compatto nel condannare la guerra all'Ucraina, non lo è nel quantificare il tributo da dare alla propria causa.

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