Ottantacinque giorni di guerra. Molti dei quali, oltre un mese, passati di fatto asserragliati all’interno dell’acciaieria di Mariupol. Gli storici un giorno, chissà, stabiliranno se si sia trattata di una resistenza militarmente utile a frenare l’avanzata russa. Di sicuro attorno ai miliziani dell’Azovstal si è creato una sorta di mito da una parte all’altra delle forze in campo. Per gli ucraini: eroi, difensori della Patria, combattenti pronti alla morte pur di respingere Putin. Per gli invasori: neonazisti fanatici.
Non è un caso dunque se le propagande si sono date da fare. I russi erano ben consapevoli di quale impatto mediatico potesse avere la resa del Battaglione Azov. E da tempo, ben prima di poter filmare la fila di circa 2mila soldati che si arrendono, aveva cercato di fiaccarne la resistenza. Il mistero aleggiato attorno alla figura del vicecomandante ne è la dimostrazione plastica. Sviatoslav “Kalina” Palamar è il numero due del battaglione. Ieri fonti russe avevano riferito si fosse arreso a Putin, sancendo di fatto la fine delle ostilità. Kalina valeva come un simbolo: la resa del vicecomandante avrebbe rotto l’aura di invincibilità di Azov. Forse avrebbe anche messo a nudo presunte divisioni nella linea di comando, tra chi voleva gettare le armi e chi cercare la bella morte. “Per noi ci sono solo due opzioni - aveva detto solo qualche giorno prima Kalina - l’evacuazione sotto la garanzia di Kiev, Mosca e di una terza parte; oppure combattere fino alla fine. La prigionia per Azov è la morte”. Possibile che uno così si sia arreso?
No, a quanto pare. Ieri sera, infatti, mentre il mondo discuteva del suo alzare bandiera bianca, Kalina è riapparso in video a smentire tutto. “Io e il mio comando siamo sul territorio dello stabilimento Azovstal - ha detto - È in corso una operazione segreta, i cui dettagli non annuncerò”. Un modo per dire: non siamo così vigliacchi da arrenderci, non siamo scappati.
Non c’è da stupirsi tuttavia che Mosca abbia tentato la carta della fake news. In fondo, per i russi Kalina deve apparire una sorta di fantasma. Come ilGiornale.it è in grado di ricostruire, infatti, nei canali social del Cremlino il vicecomandante era già stato dato per morto il 31 marzo. La propaganda aveva fatto addirittura circolare la fotografia del suo cadavere: maglia coi colori dell’Ucraina, giacca mimetica, la bocca spalancata e gli occhi chiusi. Esanime. In sovra impressione la sua presunta tessera di adesione al Battaglione Azov. “Era tra i miliziani che hanno cercato di scappare da Mariupol e che sono stati liquidati”. Bufale, ovviamente. Kalina è vivo, "risorto" o meglio mai morto, a meno che non si tratti di un'improbabile controfigura. Ecco perché non sorprende che abbiano provato a diffondere la notizia della sua resa.
In fondo era successo qualcosa di simile anche nei primi giorni di “operazione speciale”. Quando i reparti di élite dell’esercito russo conquistavano a fatica l’aeroporto di Hostomel, dando il via alla fallimentare conquista di Kiev, un deputato della Duma aveva diffuso la notizia secondo cui Zelensky fosse fuggito dalla Capitale. Il presidente ucraino rispose con un video che lo mostrava nelle strade della città. Smentita che non frenò le fonti russe più o meno ufficiali dal darlo in fuga almeno in un’altra occasione. Propaganda, appunto.
Al netto della resa o meno di “Kalina”, tuttavia, la partita dell’Azovstal sembra ormai chiusa. I civili sono stati ormai evacuati da giorni. I feriti gravi sono in ospedale. Per i morti “il processo continua”, nella speranza di poterli seppellire in territorio ucraino. Mentre circa 2mila combattenti, di cui 700 del Battaglione, sono già delle mani dei russi sotto gli occhi della Croce Rossa. La loro sorte appare appesa a un filo: qualcuno in Russia vorrebbe processarli senza le garanzie di prigionieri di guerra; altri evocano la pena di morte (a Mosca è sospesa, ma nella Repubblica di Donetsk - dove verrebbero processati - è ancora in vigore).
Resta da capire cosa ne sarà del centinaio di irriducibili ancora asserragliati all'Azovstal. Di sicuro, tra Russia e Ucraina deve essere stato trovato un accordo segreto. È probabile che l'obbligo della resa sia arrivato anche per loro: il “comando militare superiore” di Kiev oggi ha ordinato al Battaglione Azov di “salvare la vita dei soldati della guarigione e di smettere di difendere la città”. Zelensky lo aveva detto pochi giorni fa: ci servono eroi, ma vivi. Gioisce Mosca, dove è già partito lo sberleffo sarcastico verso quei combattenti che “giuravano di essere pronti a morire per la Patria e invece poi si sono arresi”. I miliziani sembrano aver accettato, seppur a malincuire, l'ordine di Kiev.
Kalina nelle scorse ore aveva spiegato che la battaglia all’Azovstal sarebbe andata avanti “fino a quanto servirà”, ovvero finché fosse rimasto operativo “l’ordine di mantenere le difese”. L’ora di deporre le armi sembra arrivata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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