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Quel "carico dell'orrore" sequestrato dalla dogana Usa

I beni bloccati dalla dogana Usa non potranno entrare in territorio americano fino a quando non saranno concluse le indagini sulla provenienza

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Le autorità doganali degli Stati Uniti hanno sequestrato ieri a New York una spedizione di 13 tonnellate di prodotti, compresi “extension” e altri ritrovati per capelli, proveniente dalla Cina e dal valore stimato di 800.000 dollari. Il carico è stato posto sotto sequestro dagli agenti della Customs and Border Protection (Cbp) poiché si sospetta che i prodotti di bellezza citati siano stati realizzati con i capelli dei detenuti dei campi di lavoro messi su da Pechino. È la seconda volta quest'anno che il CBP ha eseguito un ordine di sequestro su una spedizione di articoli per capelli provenienti dalla Cina, sulla base dei sospetti che vengano prodotti in violazione dei diritti umani.

Il gigante asiatico è stato ripetutamente accusato da ong umanitarie di rinchiudere in strutture di internamento personalità dissidenti e membri di minoranze etniche. In particolare, l’ex Celeste Impero costringerebbe ai lavori forzati numerosi esponenti della minoranza uigura, di ceppo turco e di religione islamica.

Il carico bloccato ieri a New York dagli agenti della dogana Usa non potrà fare legalmente ingresso in territorio a stelle e strisce fino a quando non saranno concluse le indagini sulle ipotesi relative all’origine di quei prodotti per capelli.

Gli accertamenti sulla spedizione di 13 tonnellate di beni bloccata dalla dogana nella Grande Mela sono stati giustificati da Brenda Smith, vice-commissario dell’Ufficio del Commercio costituito presso la Cbp, con le seguenti parole: “La produzione di questi beni costituisce un grave problema di diritti umani e questo sequestro ha lo scopo di inviare un messaggio chiaro e diretto a tutti coloro che cercano di fare affari negli Stati Uniti, ossia che pratiche illecite e disumane non saranno tollerate nelle catene di approvvigionamento delle merci”.

Le spedizioni asiatiche sequestrate in questi mesi dai funzionari governativi statunitensi sono consistite principalmente in ritrovati di bellezza prodotti da aziende, come la Hetian Haolin Hair Accessories Co., con sede nella regione cinese dello Xinjiang, dove, negli ultimi quattro anni, il governo di Pechino, accusano le ong, avrebbe imprigionato oltre un milione di persone appartenenti alla minoranza uigura.

Le istituzioni dell’ex Celeste Impero hanno finora sempre rigettato le teorie secondo cui gli uiguri verrebbero internati in campi di lavoro e secondo cui dai capelli dei detenuti verrebbero ricavate extension da esportare nel mondo. La Cina ha ad oggi puntualmente rigettato le contestazioni citate relative alla minoranza di ceppo turco, bollandole come suscettibili di danneggiare le relazioni commerciali tra Pechino e gli altri Stati.

Le accuse che dipingono la Cina come una nazione intenta a fare circolare nel globo beni realizzati con capelli e con altre parti del corpo degli internati nei campi di lavoro sono attualmente condivise, oltre che da associazioni umanitarie e da attivisti uiguri espatriati, da diversi membri del Congresso Usa.

Ad esempio, Chris Smith, membro repubblicano della Camera dei rappresentanti, ha preso spunto dalle presunte “spedizioni dell’orrore” provenienti dal gigante asiatico per tuonare: “È probabile che molti prodotti del lavoro degli schiavi continuino ad arrivare di nascosto nei nostri negozi”. Il medesimo politico conservatore è anche promotore di un disegno di legge contro il traffico di esseri umani.

In realtà, la normativa statunitense già contempla misure da attuare contro merci sospettate di venire prodotte in violazione dei diritti fondamentali delle persone. Il Tariff Act, risalente al 1930, proibisce appunto le importazioni negli Usa di beni accusati di essere il frutto del lavoro forzato.

Il governo di Washington ha però utilizzato i poteri previsti dalla normativa in questione appena 54 volte negli ultimi 90 anni.

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