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Cina, l'ingresso nel libero mercato che spaventa l'Italia

Il Paese è sempre più vicino al riconoscimento come economia di mercato. Non tutti i Paesi sono concordi: il Regno Unito si dice favorevole, l'Italia invece contraria. La Germania mantiene una posizione ambigua

Cina, l'ingresso nel libero mercato che spaventa l'Italia

La Cina si avvia a diventare un'economia di mercato a tutti gli effetti. Le conseguenze che un simile evento potrebbe produrre nell'economia mondiale spaventa molti Paesi, ma non tutti.

Pechino sostiene che, secondo l'accordo di adesione all'Organizzazione mondiale del commercio (Omc), del 2001, la Cina nel 2016 diventerà automaticamente un'economia di mercato. Cosa significa in poche parole? Un Paese che vuole fondare la propria organizzazione economica sulla proprietà privata, sulla libertà d’impresa e sullo scambio di beni e servizi in mercati liberi.

La caduta del muro di Berlino ha decretato la sconfitta definitiva del comunismo e dell'economia pianificata e la vittoria, invece, del capitalismo e dell'economia di mercato. Non tutti, però, si erano adeguati a quello che sembrava essere diventato il modello dominante e che erroneamente viene definito "liberista", quando invece sarebbe più preciso chiamare liberale. Tra questi la Cina, dove l'intervento dello Stato nell'economia continuava ad essere pervasivo. Tuttavia, i tempi cambiano e adesso anche il colosso asiatico è pronto ad aprire le porte alla libertà in campo economico. Ma non tutti accolgono positivamente la notizia: infatti, il timore è che, permettendo ad un colosso quale la Cina di immettere nel mercato i propri prodotti e capacità industriali, potrebbe voler dire ridisegnare la politica e l’organizzazione economica.

La Commissione Europea, come detto, è chiamata quest’anno a doversi esprimere sul riconoscimento o meno della Cina, quale economia di mercato. Come sempre il parere dei Paesi dell’Unione non è univoco. La proposta deve essere approvata da tutti i 28 Stati membri. Tra loro il principale sostenitore è il Regno Unito, mentre l'Italia è fermamente contraria. La principale economia dell'Unione, la Germania, ha una posizione ambigua: alla fine di ottobre, in occasione di un incontro col primo ministro cinese, Li Keqiang, a Hefei, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, dichiarò di essere favorevole "in linea di principio", ma in altre circostanze ha ammesso che il riconoscimento potrebbe essere un'arma a doppio taglio e che il paese asiatico ha ancora molta strada da fare, soprattutto in materia di assegnazione degli appalti pubblici. Ha sottolineato, inoltre, la vulnerabilità di alcuni settori industriali europei, da quello dell'acciaio a quello dell'energia solare. Anche gli Usa mettono in guardia l'Europa da una svolta che potrebbe provocare un'inondazione di prodotti cinesi a basso costo nei mercati statunitensi ed europei. L'Economic Policy Institute di Washington stima in 3,5 milioni i posti a rischio.

Coloro che si dicono contrari alla Cina in "salsa liberale" ritengono che consentendo al Paese asiatico di poter esportare, in maniera convenzionale ed autonoma, i propri prodotti si potrebbe creare un corto circuito finanziario a causa dell’eccessiva differenza nei prezzi di uguali prodotti. Di contro, per i sostenitori, il riconoscimento potrebbe aprire la strada agli investimenti industriali europei in Cina e a quelli cinesi nelle infrastrutture dell'Unione.

Inoltre, sostengono che l’inevitabile rivisitazione di alcuni parametri commerciali potrebbe favorire un po’ tutti, dai consumatori ai produttori, specialmente in una economia, quella attuale, che mostra sempre più sintomi di stagflazione.

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