Saif al-Islam, secondogenito di Muammar Gheddafi, è stato condannato alla pena di morte con l'accusa di genocidio nell’ambito di un processo che vede imputati anche altri esponenti del passato regime. Quarantatre anni, dopo la morte del padre guidò la resistenza nazionale contro le milizie del Cnt e contro la Nato. Laureato in architettura, si era perfezionato alla London school of economics and political science con una tesi sulla natura anti-democratica della governance globale (poi rivelatasi copiata).
Il 19 novembre 2011 fu arrestato vicino al confine tra la Libia e il Niger, mentre cercava di fuggire. Contro di lui era stato spiccato un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità commessi durante la repressione della rivolta popolare, poi trasformatasi in guerra civile. Saif attualmente è detenuto in un carcere di Zintan, a 180 km a sud-ovest di Tripoli: la milizia rifiuta di consegnarlo al governo centrale.
Il processo, che vedeva sul banco degli imputati 37 persone, si è aperto nell’aprile 2014, prima che il caos travolgesse la Libia, ora spaccata con due governi e due parlamenti, uno a Tripoli e un altro a Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale.
Il figlio del colonnello Gheddafi, come riferiscono i siti d'informazione libici, è stato condannato al plotone di esecuzione.
Altre condanne a
morte per l'ex numero uno dell’intelligence, Abdullah Senussi, e l’ex premier Baghdadi al-Mahmoudi. Le accuse si riferiscono al 2011, all’epoca della rivolta contro il regime di Gheddafi.
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