Le debolezze dell'Occidente

Ora avremo le sanzioni che faranno male alla Russia ma anche a noi

Le debolezze dell'Occidente

Ora avremo le sanzioni che faranno male alla Russia ma anche a noi. Le abbiamo adottate 8 anni fa per la crisi in Crimea ma non hanno portato a nulla, visto che Vladimir Putin ci ha riprovato. Magari serviranno solo a dimostrare al mondo quanto siamo divisi, perché un attimo dopo averle irrogate cominceranno i distinguo e le riserve di questo o quel Paese. Ma anche se sono armi poco efficaci, magari spuntate, non possiamo esimerci, siamo obbligati a utilizzarle perché alla fine sono l'unica testimonianza che l'Occidente, malgrado le sue debolezze, non si è ancora arreso ai soprusi, alla logica della forza, all'autoritarismo.

Servirebbe, però, insieme alla legittima reazione all'espansionismo russo, pure una riflessione delle grandi democrazie occidentali sulle proprie debolezze, sui propri errori. Dovrebbero per un attimo guardarsi allo specchio e porsi una serie di domande. Perché non hanno avuto il coraggio di pretendere dalla Cina chiarimenti sulla pandemia che ha devastato il mondo? Perché si sono ritirate alzando bandiera bianca di fronte al fondamentalismo religioso in Afghanistan? Perché dopo l'annessione della Crimea la Russia sta utilizzando la stessa strategia vincente con l'Ucraina? Perché, è l'interrogativo di fondo, contano molto meno di venti anni fa e assistono inermi al loro declino?

Le cause sono molteplici, ma c'è una ragione di base: hanno peccato di arroganza e di supponenza. Dopo la fine dell'Unione Sovietica hanno immaginato attraverso la globalizzazione di dominare il mondo, invece, l'interdipendenza ne ha esaltato non la potenza ma la debolezza. Oggi il 43% del fabbisogno del gas europeo, cioè circa la metà, viene dalla Russia. Come si può immaginare di poter ingaggiare un braccio di ferro se il vecchio continente patisce una dipendenza energetica di queste proporzioni? Un limite che intacca la nostra sovranità non come nazione, ma addirittura come continente. Nell'epoca, qui è il paradosso, del sovranismo dilagante.
Per non parlare, poi, delle conseguenze che una globalizzazione esasperata e senza regole ha avuto nei rapporti con la Cina.

Dovevamo conquistare il mercato più grande del mondo ed è avvenuto l'esatto contrario: il capitalismo di Stato, senza democrazia e senza sindacato, si sta dimostrando più forte del capitalismo liberale. Sul Covid non abbiamo potuto alzare la voce perché sul piano economico dipendiamo troppo da Pechino. Ci hanno guadagnato solo le grandi multinazionali che sono diventate gruppi globali, che sovrappongono i loro egoismi agli interessi degli Stati.

Sono immagini, appunto, del declino. E pensare che poco più di vent'anni fa George W. Bush teorizzava l'esportazione della democrazia nel mondo. Oggi, invece, battiamo in ritirata: Afghanistan, Ucraina e domani, se la Cina si mettesse in testa di seguire l'esempio russo, Taiwan. Così oggi Putin sentenzia che «il liberalismo è obsoleto», mentre Xi Jinping si nasconde dietro l'imitazione di Confucio: «È anti-democratico giudicare dall'esterno la democrazia cinese».

E noi? Ci dimentichiamo che le battaglie per la democrazia si combattono tutti i giorni con l'autonomia energetica o quella economica. È soprattutto con queste armi, non solo con i carri armati o le portaerei, che la democrazia può vincere il duello con l'autoritarismo.

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