Coronavirus

C'è una variante che ne unisce due. "È rara, non preoccupa"

In Europa e negli Stati Uniti è stata sequenziata una variante "ibrido" frutto del mix tra Delta e Omicron: ecco cos'è Deltacron e perchè non preoccupa gli scienziati

Deltacron, la variante che ne unisce due. "È rara, non preoccupa"

Negli ultimi giorni, alcuni ricercatori hanno riferito di aver sequenziato un ibrido del Sars-Cov-2, un incrocio tra la variante Delta e la variante Omicron apparso in diversi paesi europei. Esattamente due mesi fa c'eravamo occupati della variante Deltacron, rilevata a Cipro, la cui esistenza era stata smentita perchè frutto dell'errore di un'analisi di laboratorio. Adesso, però, l'Oms ha confermato che il sequenziamento scovato in Francia, Paesi Bassi, Danimarca e Stati Uniti sarebbe proprio di questa nuova variante che, però, non preoccupa la comunità scientifica.

Di cosa si tratta

Da alcuni campioni raccolti in Francia a gennaio, i ricercatori hanno identificato il mix tra le due varianti: questi rari casi accadono quando si è verificata una combinazione di geni tra i due virus, chiamati ricombinanti, perché entrambi circolano contemporaneamente nella società anche se adesso la Delta è quasi sparita del tutto. "Deltacron è un prodotto delle varianti Delta e Omicron che circolano nella stessa popolazione", ha affermato al The Guardian il prof. Lawrence Young, virologo dell'Università di Warwick, in Inghilterra. Al momento, però, il numero di casi è di poche decine in tutto il mondo e gli esperti non la considerano una variante di preoccupazione sottolineando che le varianti ricombinanti non sono rare e che Deltacron non è il primo e non sarà l'ultimo caso a verificarsi. "Questo accade ogni volta che siamo nel periodo di passaggio da una variante dominante all'altra, di solito è una curiosità scientifica ma non molto di più", afferma il dottor Jeffrey Barrett, che in precedenza ha guidato l'iniziativa di genomica Covid-19 presso il Wellcome Trust Sanger Istitute di Cambridge.

"Rara e non preoccupante"

Sebbene esista almeno da gennaio, non ha ancora mostrato la capacità di crescere in modo esponenziale. Il dottor Simon-Loriere, virologo dell'Institut Pasteur di Parigi, ha affermato al New York Times che il genoma della variante ricombinante non rappresenterebbe una nuova fase della pandemia. Il gene che codifica per la proteina di superficie del virus, la famosa Spike, proviene quasi interamente da Omicron. Il resto del genoma è Delta. "La superficie dei virus è molto simile a Omicron, quindi il nostro organismo la riconoscerà così come riconosce Omicron", ha dichiarato il virologo francese. Simon-Loriere e altri ricercatori stanno conducendo esperimenti per vedere come Deltacron si comporta sulle cellule di topi e criceti per avere ulteriori indizi nelle prossime settimane.

Come ha origine la ricombinazione

Gli esperti spiegano anche che, in questa fase della pandemia mondiale, alcune persone possono essere infettate contemporaneamente da due "versioni" del coronavirus: ad esempio, se ci si trova in un bar affollato con diverse persone infette, si potrebbero respirare particelle virali da più di una di loro. A quel punto, è possibile che due virus invadano la stessa cellula in contemporanea. Quando quella cellula inizia a produrre nuovi virus, il nuovo materiale genetico può essere confuso e produrre potenzialmente un nuovo virus ibrido. Nella maggior parte dei casi, però, questi rimescolamenti genetici saranno "vicoli ciechi evolutivi", non portano cioé da nessuna parte. Per adesso, alcuni scienziati si riferiscono al nuovo ibrido come al ricombinante AY.4/BA.1.

"È chiaro che può accadere che si crei una variante con una ricombinazione - spiega al Messaggero Massimo Ciccozzi, direttore dell'Unità di Statistica medica ed epidemiologia molecolare del Campus Bio-medico di Roma - Ma da qui a dire che sia qualcosa di più performante in grado di diffondersi di più rispetto alla variante Omicron, ce ne vuole". Nuove varianti, però, potranno svilupparsi nei paesi più poveri dove il tasso di vaccinazione è molto scarso. "È possibile che si creino in India o in Africa, tra le zone più a rischio.

Lo ha dimostrato la stessa pandemia Covid - prosegue Ciccozzi - Dobbiamo assistere questi Paesi perché proteggendo loro proteggiamo anche noi".

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