Sui prezzi dell'energia siamo quasi venuti alle mani». Al premier ungherese Victor Orban piacerà anche un po' calcare i toni, ma la sua descrizione sintetizza in modo efficace il risultato finale del Consiglio Europeo terminato l'altra notte a Bruxelles: su gas e dintorni nessun accordo, singoli Paesi in ordine sparso, del tema si riparlerà al prossimo vertice di marzo. Il fatto è che sull'energia si è un po' alla volta creata una sorta di tempesta perfetta: gli interessi divergenti dei diversi Paesi si sono mescolati ai problemi politici (i rapporti con la Russia), e alle diverse visioni in tema di transizione ecologica.
Il punto su cui tutti in partenza sono d'accordo (di fatto l'unico punto su cui tutti sono d'accordo) è che i prezzi del gas, troppo alti, sono un problema per famiglie e prospettive di crescita. A parte questo, ognuno la vede a modo suo. La Spagna propone una riforma del mercato europeo dell'energia che sblocchi il legame tra prezzi del gas ed elettricità (prodotta in larga misura da impianti alimentati a gas). I Paesi del Nord Europa, sono convinti che il rialzo dei costi, pur preoccupante, sia in realtà congiunturale e non giustifichi una rivoluzione. Quelli di Visegrad (soprattutto Ungheria e Polonia) hanno nel mirino, invece, il mercato delle emissioni di CO2. È, qui, dicono Budapest e Varsavia, che fa i maggiori danni la speculazione, colpevole di aver spinto al rialzo tutti i prezzi. Francia e Germania, da parte loro, non possono fare fronte comune perché sono divisi da un nodo che sta arrivando al pettine, quello della cosiddetta «tassonomia» delle fonti energetiche: la classificazione in base alla quale la Commissione Europea stabilirà che cosa può essere considerato «sostenibile» o no. Gas e nucleare (sia pure a determinate condizioni) saranno promossi. La cosa fa felice i francesi, alfieri dell'atomo in Europa. Per il Cancelliere Olaf Scholz, però, un atteggiamento troppo accomodante rischia di aprire subito una frattura con i neo-alleati di governo, i Verdi.
Sullo sfondo resta la questione dei rapporti con la Russia, maggior fornitore di gas del Vecchio Continente. I Paesi baltici si scagliano contro il ricatto russo, i tedeschi si barcamenano tra l'esigenza di salvare gli investimenti delle loro aziende nel nuovo gasdotto North Stream 2 e quella di dare un segnale di inflessibilità verso Mosca.
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