"È uno scandalo totale. È un segnale scandaloso di come funziona la giustizia negli Stati Uniti". Sono parole di accusa quelle che si scagliano contro la magistratura americana, rea di avere emesso dodici mandati di cattura per gli scontri avvenuti nel maggio scorso davanti a una rappresentanza diplomatica a Washington. Peccato che a lamentarsene sia il Presidente del Paese che quell'ambasciata rappresenta, Recep Tayyip Erdogan. E che quei 12 sotto accusa siano le sue guardie del corpo.
Sono lezioni di morale inusuali quelle arrivano da Ankara, dove l'uomo che da oltre un anno conduce una selvaggia repressione contro qualsiasi forma di dissenso, sia essa l'opposizione di sinistra o quella curda, si tratti di licenziare a migliaia sostenitori veri o presunti di Fethullah Gulen, ex alleato e predicatore accusato di avere ordito il fallito golpe di luglio, o di revocare il passaporto a figure influenti come Asli Erdogan, scrittrice rinchiusa per 132 giorni per i suoi legami con un quotidiano pro-curdo, pontifica sulla giustizia altrui e sostiene che siano stati gli americani a non garantire abbastanza protezione a lui e ai suoi uomini.
A demonstration outside the Turkish Embassy in northwest Washington led to nine people being injured, and two arrested pic.twitter.com/6SQTlQAUaa
— The Voice of America (@VOANews) 17 maggio 2017
Bisogna guardare i video di quel giorno per rendersi conto di come le cose siano andate. Le cronache ci parlano di nove feriti e di due arresti negli scontri che scoppiarono di fronte all'ambasciata, dove si erano radunati manifestanti che avevano portato con sé le bandiere delle milizie curde del Pyd. Un alleato occidentale nella battaglia contro l'Isis. La nemesi della Turchia, che ribadisce a ogni piè sospinto che sono soltanto la versione siriana del Pkk, che ad Ankara è considerato un gruppo dedito al terrorismo. E a onor del vero anche in America, che sul tema mantiene però un grado di ambiguità sufficiente a servire i propri interessi in Medioriente.
Erdogan parla a margine della preghiera per la Festa del Sacrificio (Eid al-Adha), che si celebra oggi in Turchia come nel resto del mondo islamico.
E promette di discuterne con Donald Trump quando ne avrà l'occasione, in un incontro previsto nelle prossime settimane. A maggio era volato in America per convincere la Casa Bianca a smettere di armare le milizie curde che combattono contro l'Isis in Siria. Si è visto come è andata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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