Vi ricordate di Bana Alabed? La bambina di otto anni che “ha commosso il mondo” raccontando su Twitter la difficile quotidianità di Aleppo Est e denunciando i bombardamenti russi? Beh, ieri è tornata a twittare. Ma non per condannare – come ci si sarebbe aspettati – la morte di quattro bambini, come lei, investiti dalla pioggia di fuoco dei Tomawk Usa, bensì per complimentarsi con chi ha dato il via libera a quell’operazione.
Le parole che ha scritto sono queste: “Io sono una bambina siriana che soffre sotto Putin e Assad. Benvenuto Donald Trump per la tua azione contro gli assassini della mia gente”. E ancora: “Putin e Assad hanno bombardato la mia scuola e rubato la mia infanzia. È arrivato il momento di punire gli assassini dei bambini in Siria”.
Post di tenore diametralmente opposto, invece, erano apparsi nei giorni in cui la bambina – oggi rifugiata in Turchia dove si è recentemente fatta immortalare con il presidente Erdogan (anche lui allineato con la “nuova agenda” del tycoon) e l’ex divetta della Disney Lindsay Lohan – si trovava nella parte orientale di Aleppo. Il suo primo tweet, di sole tre parole, risale al 24 settembre 2016: “I need peace”. Poi ancora, a novembre, scriveva: “Amici, questa non è la luna, ma una bomba che sta cadendo. Pregate per noi. Ho paura”. Il 18 dicembre, invece, chiedeva: “Fermate la guerra, vogliamo la pace, come farò a diventare un’insegnante come mia madre. Il mio sogno morirà con le bombe”.
Via via che la battaglia di liberazione dei quartieri est di Aleppo si fa più intensa, la popolarità di Bana cresce, i follower aumentano – oggi sono arrivati a quota 356mila – e i suoi messaggi diventano sempre più articolati, accorati e commoventi. Così il New York Times paragonerà il suo diario on-line a quello di Anna Frank, seguito a stretto giro anche dal The Washington Post che, usando un tono ancor più intimo, parlerà della “nostra Anna Frank”.
La voce degli orrori della guerra. Il megafono dell’infanzia martoriata. Un appello alla pace. Bana era tutto questo. Almeno fino a qualche giorno fa, quando la base di Al Shayrat – da cui secondo le estemporanee ricostruzioni del Pentagono sarebbero partiti gli aerei con le armi chimiche – viene bersagliata da 59 missili a stelle e strisce. Da quella notte, infatti, la piccola eroina siriana – nel silenzio dei media che, stavolta, tacciono i suoi inquietanti tweet – si è trasformata in una guerrafondaia.
Ma come è possibile che la piccola – oggi – abbia rinnegato il suo messaggio di pace “urbi et orbi” infischiandosene dei bambini rimasti uccisi? Sorge il dubbio che – come era già stato ventilato da qualche media non allineato allo story-telling del mainstream – si tratti davvero dell’ennesima bufala propagandistica che arriva dalla polveriera siriana.
E, come era accaduto al piccolo Omran Daqneesh, la battaglia delle “fake news” anche stavolta si gioca sulla pelle di un minore: in questo caso di una bambina la cui identità è stata sfruttata per veicolare messaggi che, a quanto pare, con la pace hanno davvero poco a che fare.E “il mondo”, sull’onda di un’emotività sapientemente creata da quei tweet innocenti e apparentemente scevri di ogni ideologia, si è bevuto tutto.
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