Uno dei principali strumenti usati dallo Stato islamico per aumentare il proprio fatturato, oltre ai riscatti per gli ostaggi e alla vendita di opere d'arte, è il commercio di petrolio. Secondo quanto riporta il Financial Times, il Califfato continua a prosperare grazie alla vendita (rigorosamente sotto banco) di petrolio. Nell'ultimi anno lo Stato islamico avrebbe incassato almeno 500 milioni di dollari, come sono state costrette ad ammettere anche fonti americane.
Nella lunga indagine condotta dal Financial Times viene mostrato come anche i cosiddetti ribelli moderati che combattono l'Isis siano costretti per forza di cose a comprare il petrolio dagli uomini di Al Baghdadi: "È una situazione che fa ridere e piangere - dice un ribelle di Aleppo. Ma non abbiamo altra scelta. C'è qualcun altro disposto a fornirci del carburante?".
Ogni giorno, secondo i calcoli del Financial Times, gli uomini dell'Isis riescono a ricavare oltre 1 milione e mezzo di dollari. Come rileva il quotidiano londinese, i raid della coalizione a guida Usa sono riusciti a fare ben poco per contrastare lo Stato islamico. Un'accusa durissima, che risulta ancora più forte se si paragonano i successi ottenuti dalla comunità internazionale nell’aggredire i canali di finanziamento di Al Qaeda dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 al flop dei giorni d'oggi.
Contrariamente ad Al Qaeda, l'Isis genera la maggior parte degli introiti di cui ha bisogno "dall’interno dei suoi confini e non dipende da raccolte occulte di fondi dall’estero". Senza contare che raccoglie denaro, oltre che con il petrolio, con "la tassazione, le estorsioni e il traffico di antichità depredate".
Molto probabilmente - secondo quando ha riportato Jana Hybášková, ambasciatrice europea in Iraq - alcuni paesi del Vecchio Continente "hanno comprato petrolio dall’Isis". Come riporta La Stampa, "l’ambasciatrice non ha voluto precisare a quali Paesi si riferisse. Dietro al traffico rispunta il nome della Turchia che ospiterebbe la principale rete di contrabbando ma anche quelli della Giordania e del Kurdistan iracheno, peraltro molto legato ad Ankara".
Di questo parere anche Alberto Negri, inviato di guerra del Sole 24 ore: "Quello che Ft non dice esplicitamente: dove viene 'esportato' il petrolio dell'Isis? In Turchia, come già avveniva negli anni '90-2000 ai tempi dell'embargo al petrolio iracheno di Saddam, che arricchì allora i curdi di Barzani e i businessmen turchi. È evidente chi sono i soci in affari del Califfato e perchè fanno la guerra ai curdi e non all'Isis, il traffico non è possibile senza l'assenso della autorità civili e militari di Ankara".
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