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I numeri che smontano Greta

Al di là delle intenzioni e della retorica, Greta Thunberg si fa portatrice di un’ideologia reazionaria e paternalistica: e dimentica che più del 60% delle emissioni proviene dalle economiche emergenti

I numeri che smontano Greta

"Al di là delle intenzioni e della retorica, Greta Thunberg si fa portatrice di un’ideologia reazionaria e paternalistica che trasforma prospettive universali come la solidarietà, l’equità o la giustizia in patenti che i migliori attribuiscono di volta in volta agli argomenti che ritengono degni". È il parere autorevole di Enrico Mariutti, ricercatore e analista in ambito economico ed energetico nonché founder della piattaforma di microconsulenza Getconsulting e vice presidente dell’Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG), pubblicato su Econopoly, blog online de IlSole24Ore.

Nella sua analisi Mariutti "smonta" il fenomeno Greta, evidenziando storture e ipocrisie del fenomeno globale del climaticamente corretto. "La giovane - osserva - non affronta mai il tema della giustizia sociale nei suoi interventi ma fa frequenti riferimenti alla distribuzione delle risorse su scala globale, rilanciando un tema caro agli intellettuali europei: il terzomondismo". Greta, spiega l'analista, ricorda che una piccola minoranza della popolazione mondiale consuma la larga maggioranza delle risorse, ma dimentica che oramai più del 60% delle emissioni di gas climalteranti proviene da economie emergent con la Cina che raggiungerà, probabilmente, il picco entro il 2030 di emissioni di Co2 e l’India, presumibilmente, durante il decennio successivo.

I numeri sul clima che smontano Greta

Di conseguemza, sottolinea Mariutti, anche "se le economie avanzate azzerassero le loro emissioni entro il 2030 – come auspica Greta, incurante o ignara delle ripercussioni sociali – i target per il contenimento dell’aumento della temperatura entro i 2° non sarebbero raggiunti". Tuttavia, "auspicare che le economie emergenti taglino le emissioni di gas climalteranti" significa "auspicare che si blocchi il meccanismo attraverso cui centinaia di milioni di persone stanno fuggendo dalla povertà. Con conseguenze umanitarie, sociali e politiche potenzialmente catastrofiche". Meglio allora fare finta di nulla e prendersela con la razza bianca occidentale, colpevole di tutte le disgtazie e le catastrofi del mondo. Facile no? Analizzando il fenomeno Greta, infatti, è evidente come esso rientri nella "visione religiosa del Capitalismo, descritta da Walter Benjamin (Il Capitalismo come religione, 1921) e profondamente radicata nella cultura protestante; si trasforma in una dottrina volta alla mera colpevolizzazione piuttosto che alla riparazione del danno e quindi all’espiazione della colpa".

Un sentimento "bigotto" e ipocrita che porterà la battaglia di Greta verso il fallimento. Perché come abbiamo spiegato in questo articolo, il movimento nato a supporto dell'attivista svedese assume tutti i connotati del peggior populismo. Come spiega il politologo Alessandro Campi, nel fenomeno Greta Thunberg gli stilemi tipici del populismo, sino a diventare qualcosa a metà tra una moda politico-mediatica che si fa forte della nostra cattiva coscienza e un movimento di massa che inclina verso il misticismo para-religioso, sono tutti facilmente riconoscibili. A partire dal più elementare e costitutivo d’ogni populismo: la divisione del mondo in buoni (i molti) e cattivi (i pochi). I primi sono gli abitanti del pianeta (il popolo inteso in questo caso come umanità), i secondo sono i capi di governo e gli esponenti dell’establishment finanziario e industriale mondiale.

Un populismo demagogico che non risolverà il problema.

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