La guerra in Ucraina sarebbe anch'essa figlia del collasso dell'Unione Sovietica del 1991. Lo ha dichiarato, nel corso di una riunione con i capi dell'intelligence di alcuni Paesi ex sovietici, il presidente russo Vladimir Putin.
Il capo del Cremlino durante l'incontro ha messo in chiaro quella che è la sua visione non solo sulla crisi ucraina ma, in generale, sulla tensione riscontrata negli ultimi giorni in altre aree dell'ex Urss. Come nel Caucaso ad esempio, lì dove sono ripresi gli scontri tra armeni e azeri, oppure lungo i confini tra Tagikistan e Kirghizistan.
“Anche l'attuale guerra figlia della fine dell'Urss”
Un incontro con buona parte dei capi dei servizi segreti della Csi, la Comunità Stati Indipendenti di cui fanno parte 9 delle 15 Repubblica ex Urss, è stata un'occasione per Putin per spiegare la sua idea di sicurezza della regione.
Una visione basata sulla necessità di una fitta collaborazione tra i Paesi della Csi, con Mosca nel ruolo di trascinatrice. Non quindi una vera e propria restaurazione dell'ordine sovietico, ma una sorta di nuovo “ordine russo” nell'area, basato su quella che forse è l'attuale principale convinzione di Vladimir Putin: l'Urss nel 1991 non doveva cadere.
“I conflitti nei Paesi che facevano parte dell'Urss, compreso quello in Ucraina, sono il risultato del collasso dell'Unione Sovietica di trent'anni fa – ha dichiarato il capo del Cremlino durante la videoconferenza con i nove capi dei servizi di intelligence collegati con lui – Basta guardare a ciò che sta accadendo ora tra Russia e Ucraina e ai confini di alcuni altri Paesi della Csi. Tutto questo, ovviamente, è il risultato del collasso dell'Unione Sovietica”.
Se quindi oggi si spara nel Donbass o nel Nagorno Karabakh, regione quest'ultima contesa dagli anni '90 tra Armenia e Azerbaijan, è perché a Mosca è venuto a mancare il collante costituito dall'Urss. Discorso che può essere esteso, nella visione di Putin, alle recenti tensioni tra tagichi e kirghisi, lì dove dispute di confine hanno creato nell'ultimo mese diversi morti tra i soldati di ambo le parti.
“L'occidente non accetta la fine della sua egemonia e genera crisi”
Ma in cima alle preoccupazioni del presidente russo c'è sempre il confronto con l'occidente e la sicurezza, da difendere a tutti i costi, sia della Russia che dell'area considerata dal Cremlino come di propria pertinenza. Secondo Putin infatti, i conflitti sorti all'indomani della caduta dell'Urss negli ultimi anni sarebbero stati implementati dalla regia dell'occidente.
“L'egemonia unipolare occidentale si sta inesorabilmente sgretolando – ha chiosato il leader russo – ma l'Occidente rifiuta di accettarlo. E così i Paesi occidentali cercano di fermare questo processo conducendo una politica del diktat in tutti i settori e creando sempre nuovi problemi e sempre nuove crisi”.
Quella del mondo multipolare e di un occidente in ritirata è una retorica molto usata da Putin negli ultimi mesi, tesa in parte a giustificare la sua azione in Ucraina. Un discorso quindi ripetuto quest'oggi dal presidente russo il quale, in questa maniera, ha mostrato ancora una volta l'intenzione di non voler porre termine alle operazioni nel Donbass.
E anzi, parlando anche di economia, ha voluto quasi rilanciare. “Non siamo in crisi – ha detto parlando durante la videoconferenza – nonostante le sanzioni degli Usa e dei suoi satelliti, il fatturato degli scambi tra Russia e Paesi Csi è in costante aumento”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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