È finito l'incubo di Roberto Berardi, l'imprenditore italiano detenuto da due anni e mezzo in Guinea Equatoriale. Il 50enne è uscito dal carcere di Bata il 9 luglio.
La notizia è stata resa nota, con qualche giorno di ritardo dovuto ad un indispensabile silenzio stampa, dalla moglie Rossella e dal senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani di Palazzo Madama, che ha seguito da vicino la vicenda.
"Temevo davvero che Roberto non uscisse vivo da quella prigione. Si chiude un periodo per me e i miei figli di sofferenza e angoscia - dichiara la moglie Rossella - ma il primo pensiero è per Roberto e le sue condizioni di salute: al telefono è felice ma molto provato".
"Berardi - ha aggiunto Manconi - è stato liberato giovedì scorso, ma solo dopo aver avuto la certezza che fosse in viaggio per l'Italia, si è deciso di dare la notizia; questa storia si è protratta troppo, incredibilmente e immotivatamente, e se ora c'è un lieto fine il merito è dello stesso Berardi che ha resistito ad abusi e sevizie, della moglie Rossella e dei familiari che non si sono mai rassegnati, e di coloro che si sono mobilitati a favore del nostro connazionale. Molto si deve inoltre alla serietà e alla professionalità del nostro Ambasciatore, Samuela Isopi, del corrispondente consolare Massimo Spano e di tutta la macchina della Farnesina".
Berardi, un imprenditore edile e costruttore di strade attivo in Africa da vent'anni, era finito in carcere il 18 gennaio 2013, all'improvviso. Ma poco prima dell'arresto aveva avuto qualche presentimento. Tant'è che il giorno stesso in cui è stato portato via aveva convocato il consiglio d'amministrazione della sua impresa, la Eloba Construccion, per chiedere chiarimenti su alcune transazioni milionarie sospette. Tutte a nome della sua azienda e fatte dal suo partner, Teodorìn Nguema Obiang Mangue, il figlio del presidente della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, al potere dal 1979.
In un paese come la Guinea Equatoriale, in cui la corruzione è dilagante, è consuetudine che a ogni imprenditore straniero che decida di investire debba necessariamente affiancarsi ad un partner locale. Anche Berardi si era adattato a queste leggi non scritte nella creazione della sua società, Eloba: il 40% delle azioni era in suo possesso, il 60% nelle mani di Teodorìn. Era stato proprio Teodorin a notare le capacità imprenditoriali di Berardi e a proporgli una collaborazione.
Ma quando il 50enne ha chiesto chiarimenti su alcune anomalie contabili a nome della sua azienda, è finito misteriosamente in carcere. Dopo un periodo di isolamento di 22 giorni (mentre la legge locale prevede soltanto 72 ore), è stato processato e condannato a 2 anni e 4 mesi di carcere per frode fiscale o al pagamento di 1,2 milioni di euro, che però Berardi non possiede perché gli sono stati sottratti tutti i beni in Africa e bloccati tutti i conti correnti bancari.
Da allora sono passati due lunghi anni e mezzo, in cui il 50enne ha sofferto, si è ammalato, ha contratto più volte la malaria, ed è dimagrito numerosi chili. Ha raccontato il suo inferno di bastonate e frustate in un video choc che è riuscito ad inviare al Tg1 un anno e mezzo fa.
Già pochi mesi dopo l’inizio della detenzione aveva scritto una lettera-appello in cui raccontava la sua situazione: "Temendo per la mia vita, scrivo nella speranza che qualcuno possa e voglia aiutarmi ad uscire da una situazione che mi vede protagonista e che mi ha portato, da incolpevole, ad essere detenuto nelle carceri della Repubblica di Guinea Equatoriale ormai da 4 mesi senza nessun capo d’accusa e senza prove a mio carico".
"La mia famiglia sta tentando in ogni modo di coinvolgere gli organi preposti del Governo Italiano, fino ad ora senza risultati - spiegava l’imprenditore -. Prego chiunque ne abbia la possibilità di aiutarmi a tornare nel mio Paese".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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