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I 70 anni dello Zar che sognava di fare festa a Kiev

Il presidente compie gli anni. Sempre più isolato, irrazionale e paranoico. Pensava di festeggiare a Kiev. Ora è in bilico e con molti nemici

I 70 anni dello Zar che sognava di fare festa a Kiev

Sedici anni fa, un killer rimasto impunito come il suo mandante pensò di far cosa gradita a Vladimir Putin assassinando Anna Politkovskaja nel giorno del suo compleanno. La morte violenta fermò per sempre la penna e il brillante cervello di una giornalista coraggiosa che aveva avvertito per tempo tutto noi di quale sarebbe stata la deriva della «Russia di Putin», titolo di un suo profetico libro-denuncia.

Non si fermò invece, negli anni successivi, l'inquietante sequenza di omicidi di oppositori e avversari politici del presidente autocrate, sempre più chiaramente riconducibili alla volontà dello stesso potente uomo del Cremlino. Quest'oggi Putin compie settant'anni e aveva progettato di farsi un regalo ancor più speciale: celebrare un rito religioso nella cattedrale ortodossa di Kiev, nel frattempo ricondotta sotto sovranità russa. I suoi consiglieri gli avevano assicurato che la capitale dell'Ucraina gli sarebbe caduta in mano come un frutto maturo già nello scorso febbraio, ma come tutti ormai sappiamo non è andata esattamente così e Putin si trova a celebrare un compleanno molto diverso da come l'aveva immaginato.
E questo perché l'uomo di cui i suoi ammiratori amavano esaltare la visione strategica non ne ha azzeccata una.

L'apoteosi della sua politica di potenza non c'è stata. Credeva che gli ucraini avrebbero accolto i soldati russi con i mazzi di fiori invece li hanno presi a cannonate, molto più precise e micidiali del previsto, tra l'altro. Contava che gli americani, guidati dal senescente Joe Biden, avrebbero fatto come a Kabul, abbandonando vergognosamente gli alleati, ma non è andata così: i cannoni che inchiodano i russi sono in buona parte suoi. Era certo che gli europei avrebbero preferito lasciare scorrazzare l'orso russo nelle pianure ucraine in cambio della garanzia di forniture di gas e di vaghe promesse di fermarsi al confine polacco e invece siamo qui a organizzarci (male, magari) per un inverno col maglione in casa pur di non dargliela vinta.

Quanti errori di valutazione, quante brutte sorprese. Quanti generali sollevati inutilmente dall'incarico, quante incredibili bugie pronunciate invano nel tentativo di recuperare l'irrecuperabile, di vincere una guerra che non aveva nemmeno osato definire tale e che non può più vincere. Il Putin settantenne di oggi è un uomo costretto a ostentare ottimismo di fronte al disastro incombente: ridotto a festeggiare in un clima surreale a metà tra la solennità e lo stadio l'annessione di territori che non riesce a controllare, a promettere l'imminente riconquista delle loro parti che Kiev si è già ripresa ignorando minacce roboanti, ad agitare addirittura lo spauracchio di una guerra nucleare come ultima disperata ratio. È soprattutto un uomo paranoico più che mai, che sente alzarsi attorno a sé voci che mai avrebbe creduto di udire. Voci di sodali che gli devono ricchezze e privilegi enormi, ma che cominciano a parlare di errori politici dietro le disfatte militari e a mettere in discussione i suoi stessi organigrammi. Perché adesso sentono che lui potrebbe andare a fondo e vogliono salvarsi, magari disarcionandolo.

E così ci sono quelli che cominciano a pensare che all'Ucraina si potrebbe anche rinunciare, e altri che invece sembrano disposti a fare fuori ministri e generali considerati non abbastanza duri per vincere la battaglia della vita. In mezzo c'è lui, Vladimir che voleva passare alla Storia come l'erede di Ivan il Terribile, sempre più isolato in patria e all'estero. Magari pronto a gesti terribili e irrazionali, come lo Hitler del 1945 disposto a incenerire la Germania pur di non arrendersi. Certamente «triste, solitario y final».

Termine, quest'ultimo, che in Russia raramente si abbina con un epilogo tranquillo per l'involontario protagonista.

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