Coronavirus

Quelle due facce dell'America che si scontrano nell'epidemia

L’America delle élites che resiste al Covid-19, contro l’America che arranca, quella delle classi più povere. L’epidemia riscopre la lotta tra Stato e individuo

Quelle due facce dell'America che si scontrano nell'epidemia

Prova a dirlo a un operaio della grande industria nella Rust Belt, o a un piccolo imprenditore sulla costa, che bisogna tenere chiuso tutto a oltranza. Se avrai il coraggio di chiedere, sarai ripagato da un’invettiva contro lo Stato centrale. L’America si riscopre. Il Paese è chiuso da circa un mese e stiamo assistendo alla formazione delle prime crepe nella sua società. Da una parte gli epidemiologi. Vorrebbero tenere chiuso tutto più a lungo. Dall’altra, le crescenti proteste in tutta la nazione, con il popolo che chiede di riavviare le attività. Per alcuni sono "negazionisti". Non percepiscono il virus come subdolo nemico. E accusano i manifestanti di volersi suicidare di fronte alla pandemia. Altri sono ligi al dovere: dobbiamo tenere duro e ascoltare la scienza.

L’emergenza Covid-19 è ormai globale. E anche negli Stati Uniti si valuta cosa fare tra mille errori e ritardi. Ma c’è di più. L’America delle élites che regge l’impatto del virus, si riscopre contro l’America che arranca, quella delle classi più povere. Grandi contro piccoli. Big companies contro piccole aziende. Circa venti milioni di cittadini statunitensi hanno perso il lavoro a causa dell’epidemia. E non è una novità. Ma, su questo fronte, si apre un’ulteriore frattura sociale ed economica: chi non ha bisogno dello Stato e va avanti, contro chi è (o si riscopre) statalista per necessità. Per fame. La mano pubblica in un Paese liberale si rivela fondamentale. Ma è solo con il mercato che si riuscirà a superare questa crisi. Il sistema capitalistico, chiamato all’ennesima prova, si adatterà.

Negli States non è difficile notare il divario di classe in questo periodo di emergenza. Come in molti conflitti americani, lo scontro è tra i componenti della classe agiata la "upper class" e quelli della classe operaia. Prendiamo Los Angeles. In questa città la disoccupazione è alle stelle. Il giornalista radiofonico, Steve Gregory, ha chiesto ai membri del governo dello Stato della California se qualcuno di loro fosse disposto a subire tagli volontari alle retribuzioni, durante questa crisi. Hanno risposto che la sua domanda era "irresponsabile", vale a dire imbarazzante e scomoda.

Ci sono davvero due Americhe qui. Quella che riceve ancora una busta paga dal governo o dalle università. Le classi che tendenzialmente sono di sinistra. Votano liberal e sono per la maggior parte impiegati statali. E coloro che sono disoccupati o vedono soffrire le loro piccole imprese a causa delle chiusure. I paladini di Donald Trump. Finora la prima America, quella che ancora vive senza troppi problemi, non mostra molta simpatia per l’altra America, quella in difficoltà. E questa è una formula scientifica per il disastro.

Il Paese resiliente

"Gli americani sono un popolo resiliente. Perseveriamo in circostanze difficili e superiamo trionfanti le avversità. È nel nostro Dna nazionale", scriveva il senatore Marco Rubio, figura di spicco del partito repubblicano, in un editoriale sul New York Times. Ed è quello che accadrà ancora una volta. Rubio è anche presidente della commissione del Senato per le piccole imprese. Aziende che più delle altre stanno pagando il prezzo della crisi.

Gli americani stanno affrontando una sfida. I negozi di alimentari, i ristoranti da asporto e i drug stores rimangono aperti. Ma non hanno forza. Sono allo stremo. Le famiglie lavorano per superare l’enorme danno economico che devono affrontare a causa del coronavirus. La resilienza, afferma Rubio, è uno dei tratti distintivi di un cittadino americano. Ma è qualcosa che è rimasto assente dalla politica pubblica per troppo tempo. Ciò è diventato chiaro, in modo devastante, nell’attuale crisi. Negli ultimi decenni, i leader politici ed economici, democratici e repubblicani, hanno fatto delle scelte su come strutturare la società, premiando l’efficienza economica sulla resilienza, i guadagni finanziari sugli investimenti pubblici.

L’arricchimento individuale, sul bene comune. In un Paese liberale, dove la libertà individuale regna sovrana, questo è il corso da seguire. Ma, attenzione, in tempo di pace. Poi arriva l’inaspettato, qualcosa di imponderabile: una pandemia globale che riscrive tutto. Le difficoltà dei singoli devono venir necessariamente compensate dalla mano pubblica. Una mano che in momenti di crisi ha il dovere di far ripartire la baracca.

La scelta di costruire un’economia basata sulla finanza ha prodotto uno dei motori economici più efficienti di tutti i tempi. Ma in queste condizioni di emergenza si rendono evidenti tutte le mancanze. Tutte le crepe. E la "mission" principale deve essere una: rilanciare. Ciò non vuol dire rendersi schiavi dello statalismo che in questi giorni di crisi si riscopre essenziale per la sopravvivenza. Ma deve restare il Paese dell'american dream. Il Paese di quegli eroi che lavorano duramente e che si sentono impotenti mentre guardano il loro mondo cadere.

La crisi della globalizzazione

In molti, in queste settimane, parlano di crisi della globalizzazione. Del ruolo della Cina. In molti credevano che il capitalismo avrebbe cambiato Pechino in meglio. Invece, la Cina ha cambiato il capitalismo in peggio. Le generazioni più giovani, i nostri figli, cresceranno in un sistema dalle prospettive economiche ridotte. Oggi, il risultato di queste scelte politiche fallimentari è che la base manifatturiera è fortemente ridotta. E milioni di posti di lavoro, che si sono basati su di essa, sono spariti.

La catena di approvvigionamento domestica americana è appassita. Per decenni l’America ha fatto la scelta consapevole di facilitare l’offshoring in Cina, dove il lavoro era economico. E ora con la pandemia? I cittadini statunitensi non possono lasciare le loro case. Non possono stringere nemmeno la mano ai vicini. Le chiese sono chiuse. Il mercato del lavoro, specialmente per la classe operaia, è in caduta libera.

Questa è la triste verità. Se il Congresso non agisce immediatamente, innumerevoli piccole imprese non sopravvivranno. I soldi arrivati alle micro aziende non bastano. Vengono utilizzati per mantenere i loro impiegati, pagare servizi di pubblica utilità, coprire mutui e pagare altri costi essenziali. In tanti, tantissimi, non possono sopravvivere più di un mese o due senza supporto. La quarantena ha decimato clienti ed entrate.

Le piccole imprese sono una fetta importante dell’economia americana e rappresentano quasi la metà dei lavoratori. Rischiano di fallire. La stragrande maggioranza di queste ha meno di 20 dipendenti. Non hanno un esercito di avvocati e commercialisti per elaborare i loro documenti, né hanno pile di riserve o enormi linee di credito con le banche per superare la crisi. E così si ritorna all’inizio di questo articolo. Alle due Americhe. A quella delle élites e a quella delle classi più povere. Un conflitto sociale tra Stato e individuo che il coronavirus ha riacceso.

Una tempesta difficile da attraversare anche per il Paese più libero del mondo.

Commenti