I marinai italiani in Libia adesso rischiano il processo

Dall'est della Libia fanno sapere che i 18 mariani dei pescherecci italiani fermati lo scorso primo settembre sono accusati di attività di pesca illegale e subiranno un processo. Ma si teme che dietro la vicenda si nascondano i ricatti di Haftar

I marinai italiani in Libia adesso rischiano il processo

Si fa in fretta nell'est della Libia a etichettare il caso come uno dei tanti che ha riguardato in passato altri pescherecci italiani. Lo ha fatto, in un'intervista a Federico Semprini, il presidente della commissione Affari esteri del parlamento Tobruck, Yusuf Al-Agouri. Quest'ultimo è quindi uno dei rappresentanti di quel parlamento stanziato in Cirenaica riconosciuto dagli accordi di Skhirat e con cui l'Italia ha rapporti ufficiali.

La vicenda relativa ai nostri pescherecci non sta assumendo dei contorni positivi. Tutto è iniziato lo scorso primo settembre quando, a poche ore dalla visita del ministro degli Esteri Luigi Di Maio in Libia, alcuni mezzi della marineria di Mazara del Vallo e uno di quella di Pozzallo sono stati fermati dalle motovedette libiche. Da allora 18 marinai sono trattenuti a Bengasi in stato di fermo.

Secondo Al Agouri perché adesso dovranno essere giudicati in un processo: “Presto gli equipaggi dei due pescherecci italiani compariranno davanti a un tribunale che dovrà pronunciarsi sul reato da loro commesso”. L'illecito, secondo il rappresentante della commissione Affari Esteri del parlamento di Tobruck, riguarderebbe l'attività di pesca effettuata in zone considerate dalla Libia come propria Zona Economica Esclusiva.

Quello che non quadra

Ma la storia in realtà non è così lineare per come emersa dal racconto del deputato libico. Non è la prima volta infatti che dei pescherecci italiani vengono fermati nel Paese nordafricano. Negli altri casi però la storia si risolveva nel giro di poche ore, al massimo di qualche giorno. Adesso sono già più di due settimane che gli equipaggi delle motonavi italiane si trovano in stato di fermo. E la vicenda sta assumendo sempre più un contorno politico, ancor prima che giudiziario. Specialmente da quando si è diffusa la notizia che i libici vorrebbero scambiare i 18 nostri marinai con 4 connazionali reclusi in Italia per reati molto gravi, visto che sono stati riconosciuti come scafisti e autori di violenze a bordo di un barcone approdato nel 2015 nel nostro Paese.

Una circostanza solo parzialmente smentita da Al Agouri: “Da parte nostra rinnoviamo la richiesta di rimpatrio dei calciatori libici arrestati in Italia – ha dichiarato il deputato nell'intervista – che avevamo avanzato prima della vicenda dei pescherecci”. Un tentativo di slegare le rivendicazioni sui quattro libici reclusi, chiamati calciatori perché considerati in patria semplici sportivi partiti in cerca di gloria, dal sequestro dei pescherecci italiani. E forse dal suo punto di vista Al Agouri non ha tutti i torti. Lui è deputato di un parlamento riconosciuto, un'autorità con cui l'Italia ha dei rapporti tanto che Luigi Di Maio nella sua ultima visita in Libia si è intrattenuto con Aguila Saleh, presidente della Camera dei Rappresentanti stanziata a Tobruck. Quindi la sua ricostruzione potrebbe avere anche una logica di natura legale.

Le possibili velleità di Haftar

Il problema però è che il parlamento che ha sede in Cirenaica è da anni braccio politico di colui che controlla militarmente la regione, ossia il generale Khalifa Haftar. Il sequestro degli italiani è stato compiuto da motovedette che rispondono agli uomini del Libyan National Army guidato da Haftar. E quindi la vicenda è più direttamente collegata alle velleità del generale che ai procedimenti giudiziari o alle volontà politiche del parlamento.

Haftar, in grande difficoltà su tutti i fronti, potrebbe usare i nostri marinai per ricattare l'Italia. Di questo ne è ben consapevole lo stesso Di Maio, che nei giorni scorsi ha parlato di un governo “che non ha intenzione di accettare ricatti”. Ecco perché la storia si complica, ecco perché non tutto è ricollegabile soltanto alle pretese della giustizia libica di accertare eventuali reati commessi dai nostri marinai.

Alla Farnesina si sta in questi giorni lavorando in silenzio, si sta cercando di fare

pressione su Haftar tramite i principali suoi sponsor internazionali. Si attende e si aspetta, mentre a Mazara del Vallo i familiari dei membri degli equipaggi sperano quanto prima di abbracciare nuovamente i propri cari.

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