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"I talebani ci cercano", "Per favore aiutateci". Voci dall'Afghanistan dimenticato

Arrivate in Italia altre famiglie afghane. Ma molti non riescono a lasciare il Paese e sono ancora in balìa dei talebani

"I talebani ci cercano", "Per favore aiutateci". Voci dall'Afghanistan dimenticato

(Edolo) La pioggia - sottile e pungente, di quelle che danno fastidio - si è appena fatta da parte. Il fiume Oglio rumoreggia più del solito, in un paese stranamente deserto. Chi può, in questa domenica mattina, sta in casa, a godersi il caldo e, soprattutto, l’asciutto. I più coraggiosi, invece, stanno correndo sulla strada del monte Colmo oppure sono a vedere il Trofeo Enduro Husqvarna.

È camminando nel centro di Edolo che incontriamo un pezzo di Afghanistan, che è stato costretto ad andare via. A fare le valigie in fretta e furia, mollando speranze e anche qualche risparmio, pur di salvare la pelle. Si tratta della famiglia Adib: Abdullah, che ha lavorato a lungo con gli italiani a Camp Arena, ad Herat; Anjila, che faceva parte di un’azienda di logistica che ha aiutato non solo il nostro Paese ma anche diversi partner Nato; Momtaz, che ha studiato informatica e, infine, Najla, che sogna di diventare una dottoressa.

La loro è un’epopea durata nove mesi. Tutto è iniziato il 15 agosto scorso, con l’avanzata dei talebani verso Kabul. Il fuggi fuggi dell’esercito locale (il sospetto delle forze speciali afghane è che ci sia stato un indicibile accordo tra militari e gli “studenti”) e l’abbandono del Paese da parte dei partner occidentali, ha fatto sprofondare nella disperazione coloro che, per anni, avevano aiutato i nostri eserciti. Molti sono riusciti a prendere un aereo, gettandosi nella calca dell’aeroporto di Kabul. Ma centinaia di famiglie sono rimaste a piedi, in balìa dei talebani. La famiglia Adib è tra questi. A settembre inizia a darsi da fare, inviando nomi e documenti al ministero della Difesa. Il Covi li approva. La palla passa al ministero dell’Interno, che deve fare le dovute verifiche. Ad agosto, le regole erano diverse: bastava avere un qualsiasi documento che provasse di aver lavorato con le nostre forze armate per salire su un aereo diretto verso il nostro Paese. Ma oggi non c’è più un’emergenza e i controlli, che allungano i tempi, sono d’obbligo. Nell’ultima decade dello scorso gennaio, la Difesa chiama la famiglia Adib e le dice di spostarsi in Iran: “Mentre eravamo là, i talebani sono andati da nostra nonna e da nostra zia a chiedere dove fossimo. Fortunatamente eravamo già scappati”, racconta Momtaz mentre gli occhi le si fanno grandi per le lacrime. La famiglia Adib ottiene il visto, poi il silenzio. Passeranno quattro mesi prima di partire. Il momento della partenza è ansia mista a gioia. Najla registra un video e decide di mettere, come sottofondo, una rivisitazione de L’italiano di Toto Cutugno.

E così da Herat la famiglia Adib è arrivata alla base logistica di Edolo, oggi comandata dal tenente colonnello Antonio Cardillo. Questa struttura è stata uno dei principali centri che, lo scorso agosto, hanno accolto gli afghani e anche oggi si trova in prima linea, ospitando un centinaio di rifugiati. “Siamo impegnati dallo scorso agosto - racconta il sindaco Luca Masneri - I miei concittadini si sono subito dati da fare per accogliere gli afghani, non solo per i loro bisogni fondamentali, ma anche per provare a dare loro un futuro”. Ed è questo uno dei punti che, ad oggi, non è ancora stato chiarito, soprattutto dal ministero dell’Interno: passati i due anni di sostegno alle famiglie afghane, che ne sarà di loro? Per il sindaco Masneri “è necessario avere una sua visione, non ragionare solo sul domani. Si tratta di persone che molto spesso hanno competenze precise, che possono e devono trovare un lavoro, ma la burocrazia a volte complica tutto”.

Oggi, con la crisi ucraina sempre più forte, ci stiamo dimenticando dell’Afghanistan. Lì, sotto il giogo dei talebani, sono rimaste centinaia di persone. Poco alla volta stanno arrivando in Italia. Ma molti temono di essere stati dimenticati. Come Navid, che sfoggia con orgoglio i certificati ricevuti dall’esercito italiano e dalla Nato: “Con immensa stima e amicizia”, si legge. “Ma che fine hanno fatto stima e amicizia?”, si domanda il giovane afghano. “Sono passati mesi e la Difesa è sparita. Che fine hanno fatto le persone che ho aiutato mentre erano qui?”. Sayed è ancora più disperato. Le ha provate tutte, affidando anche la sua storia a Striscia la notizia. Ma non è servito a nulla. “Dal 2008 al 2013 ho collaborato con l’esercito italiano e poi sono stato un capitano delle forze armate afghane fino all’arrivo dei talebani. Mi stanno dando la caccia e non so più cosa fare. La Difesa mi ha promesso di portarmi in Italia ma sono mesi che sono in Iran e sono costretto a raccogliere la spazzatura a un euro al giorno per poter sfamare la mia famiglia. Non accuso nessuno, ma chiedo che qualcuno mi aiuti”, scrive sconsolato Sayed. Tra gli interpreti rimasti, forse quelli più a rischio, domina ormai lo sconforto: “Credo che l’Italia ci abbia abbandonato e che non abbiamo più possibilità di lasciare questo Paese”.

Difficile sapere ciò che sta accadendo realmente e quali siano i piani della Difesa.

Ma la speranza, oggi, non pare abitare più in Afghanistan.

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