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India, stretta contro precetti islamici: vietato ripudio delle mogli

Da oggi in poi, i mariti musulmani che per divorziare continueranno a ricorrere all’antica usanza verranno condannati a tre anni di prigione

India, stretta contro precetti islamici: vietato ripudio delle mogli

Il governo indiano ha varato una “stretta anti-Islam”. Il premier Modi ha infatti dichiarato fuorilegge un’antica tradizione musulmana: il “talaq”, ossia il ripudio istantaneo della moglie, ottenibile dai mariti mediante una semplice dichiarazione verbale. Adottando tale provvedimento restrittivo, l’India è divenuta il ventitreesimo Paese al mondo a vietare la controversa usanza.

In base all’antica tradizione, i mariti possono ripudiare all’istante le rispettive mogli pronunciando tre volte, non per forza consecutivamente, proprio la parola “talaq”, ossia “divorzio”. Negli ultimi anni, le autorità islamiche indiane avevano autorizzato i coniugi di sesso maschile a effettuare la dichiarazione risolutiva del matrimonio anche tramite telefonata, sms o post sui social. Da oggi in poi, coloro che continueranno a praticare l’usanza incriminata verranno condannati a tre anni di prigione.

Mediante un’ordinanza di necessità e urgenza, l’esecutivo di Nuova Delhi ha dato valenza normativa a una sentenza emessa lo scorso anno dalla Corte suprema, la quale aveva sancito l’incostituzionalità dell’istituto del “talaq”. L’organo giudiziario aveva infatti definito il principio alla base della disciplina matrimoniale islamica come “lesivo dei diritti delle donne”. Nel dicembre del 2017, subito dopo il verdetto, il premier Modi aveva presentato al parlamento un disegno di legge inteso a proibire il controverso istituto giuridico. Dopo essere stata approvata dalla Camera bassa, la riforma caldeggiata dall’esecutivo era stata però respinta dal Rajya Sabha (Consiglio degli Stati), controllato dalle forze politiche avverse a Modi. Il Primo ministro, deciso a dare efficacia legislativa al verdetto della Corte, ha quindi superato lo stallo parlamentare varando la recente ordinanza “anti-talaq”. Il provvedimento governativo avrà un’efficacia di sei mesi, termine entro il quale il divieto dovrà comunque essere ratificato dalle due Camere. L’esecutivo, tramite il ministro della Giustizia, Ravi Shankar Prasad, ha rivolto un appello all’opposizione affinché quest’ultima voti in parlamento a favore della messa al bando della controversa usanza.

Il Congresso Nazionale Indiano, principale partito di minoranza, ha criticato la decisione di Modi di riformare la normativa penale mediante un’ordinanza di necessità e urgenza. Ad avviso di tale forza politica, qualsiasi modifica legislativa diretta a incidere sulle tradizioni osservate dalle comunità religiose indiane non può essere il frutto di “azioni unilaterali”, ma deve essere supportata da un “ampio consenso parlamentare”. Obiettivo dell’opposizione è quindi modificare in parlamento l’ordinanza, mitigando le pene introdotte a carico di chi insiste nel praticare il “talaq”. Critiche alle autorità di Nuova Delhi sono state espresse anche dall’All India Muslim Personal Law Board, associazione che si batte per la salvaguardia delle usanze islamiche dalle “ingerenze governative”. Il Board ha condannato la decisione dell’esecutivo, affermando che le questioni coniugali vanno regolate “esclusivamente dai precetti coranici” e non dalle leggi nazionali.

In India, i musulmani ammontano a 170 milioni. Le autorità federali, fino all’ordinanza adottata da Modi, non si erano mai azzardate a sindacare i principi fondamentali del diritto matrimoniale islamico. Nonostante la svolta impressa dal premier alla condotta osservata finora dalle istituzioni verso tale minoranza religiosa, la vita dei membri delle comunità musulmane del subcontinente continua a essere quasi interamente regolata dai dettami del Corano.

Agli imam, non ai funzionari governativi, spetta infatti dirimere le controversie coniugali, testamentarie e contrattuali.

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