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Io, israeliana contro l'occupazione vi dico come fermare il conflitto senza mettere mano alle armi

Amira Hass, corrispondente di Haaretz dai territori: "Gli israeliani non possono sentirsi padroni di tutta la regione, ma anche i palestinesi devono lasciarsi alle spalle la cultura dell'impotenza"

Io, israeliana contro l'occupazione vi dico come fermare il conflitto senza mettere mano alle armi

Amira Hass è corrispondente dai Territori Palestinesi occupati per il quotidiano liberale israeliano Haaretz. Ebrea, da sempre si batte per la fine dell’occupazione. Quando prende la parola e racconta della sua esperienza nella striscia di Gaza, quando Hamas la cacciò in malo modo, in sala si fa il silenzio. A Lugano, alla conferenza sul ruolo delle donne nelle primavere arabe convocata in onore di Vittorio Dan Segre e Luigiterzo Bosca, la Hass interviene su un tema di scottante attualità: il culto delle armi nelle società israeliana e palestinese. È da questo punto che iniziamo la nostra intervista.

Come si possono, nella vita di tutti i giorni, amare e venerare le armi?

“In Israele vi è un nesso tra virilità e armi: ai soldati si insegna ad accarezzare e ad amare le armi come fossero fidanzate. Ma anche i ragazzi palestinesi si fanno fare dei fotoritratti con armi aggiunte con Photoshop.”

Perché?

“Per poter avere una foto da combattente quando saranno morti. E a volte sono sostenuti dalle famiglie.”

In che senso?

“Io stessa ho parlato con diversi genitori di ragazzi uccisi mentre protestavano pacificamente, tentando di convincerli a raccontare la verità, che i loro figli non erano combattenti. Ma le famiglie non vogliono, in parte perché tengono a che i loro figli vengano onorati come eroi, in parte perché sperano di ottenere il risarcimento in denaro previsto per questi casi dall’Autorità Palestinese.”

Le istituzioni come si pongono rispetto a questo atteggiamento?

“I militanti di Hamas cerca di conquistare posizioni politiche proponendosi come eroi e relegando tutti gli altri palestinesi al ruolo di vittime. A Gaza moltissimi palestinesi vorrebbero criticare Hamas, ma hanno troppa paura per dirlo”.

E i giornalisti, sono liberi di lavorare a Gaza?

“Io sono stata espulsa dalla Striscia, circa otto anni fa. Però per me si è trattato di un complimento, hanno capito che non ero a loro disposizione. D’altronde non stare simpatici a chi è al potere è parte integrante del lavoro di giornalista.”

In Israele, invece, qual è il rapporto del potere con i media?

“Il mio giornale, Haaretz, mi ha sempre protetta da ogni pressione. Certo, la politica cerca di sfruttare i media per il proprio tornaconto. Pensi, ad esempio, al presunto isolamento di Israele sulla scena internazionale…”

Ci spieghi meglio

“Si parla di un allontanamento politico e diplomatico tra Occidente e Israele. I politici israeliani gridano all’isolamento per guadagnare consenso interno, ma nelle cose che contano i rapporti con Usa e Ue sono ancora strettissimi.”

Ad esempio, su che temi?

“Gli Usa continuano a vendere armi ad Israele, e così fanno gli Stati Europei. Detto questo non illudiamoci: è ovvio che per le presidenziali americane del 2016 Netanyahu spera in una vittoria repubblicana.”

In Medio Oriente cosa si può fare per promuovere una cultura della pace?

“Cultura della pace è un’espressione svuotata di ogni significato. Dopo gli accordi di Oslo del 1991 si pensava che la pace fosse a portata di mano, ma la violenza può continuare anche senza l’uso delle armi.”

Allora cosa serve per stabilizzare la regione?

“In Israele dobbiamo smettere di comportarci come eterne vittime e di conseguenza di sentirci autorizzati a comportarci come dei padroni anche nei Territori palestinesi. È qualcosa che va oltre la pace.”

E da parte palestinese, invece, cosa bisogna fare?

“I palestinesi devono vincere una disperazione quasi culturale, la cultura dell’impotenza. Bisogna che i palestinesi inizino a pensare che sia possibile continuare, e combattere senza distruggere.

L’uso delle armi contro Israele porta solo distruzione.”

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