Coronavirus

Israele, via alla terza dose. Perché in Italia (per ora) non serve

Adesso è fondamentale completare la seconda dose, anche perché non ci sono abbastanza studi riguardanti una terza inoculazione

Israele, via alla terza dose. Perché in Italia (per ora) non serve

Nonostante siano ancora molti i dubbi sulla necessità o meno di una terza dose di vaccino, Israele ha deciso comunque di dare il via libera ai soggetti adulti ritenuti particolarmente fragili, e quindi a rischio.

La decisione di Israele

Ieri le autorità sanitarie israeliane hanno cominciato a offrire la terza dose di siero Pfizer agli adulti gravemente immunodepressi, per cercare di combattere il rischio di un contagio dovuto alla diffusione della variante Delta, quella che in questo momento preoccupa di più. Israele non ha ancora deciso se allargare la terza dose a tutta la popolazione, indipendentemente dal grado di fragilità delle persone.

Nel Paese mediorientale i contagi sono nuovamente aumentati negli ultimi giorni, toccando quota 732 nuovi casi in un solo giorno. Questo è il numero più alto registrato nella nuova ondata di contagi e il numero maggiore di positivi da marzo. Circa il 56% di nuovi positivi sono persone già vaccinate con prima e seconda dose. Il premier Naftali Bennett ha reso noto che sta coordinando la consegna anticipata di un nuovo carico di dosi Pfizer per il primo agosto in modo da poter continuare la vaccinazione della fascia di età compresa tra i 12 e 15 anni. In Israele la variante Delta è ora responsabile del 90% dei nuovi casi.

L'Oms: "Vaccinare tutti"

L’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, ha invece puntato i riflettori su un altro problema, Dopo aver sottolineato che non ci sono al momento abbastanza studi relativi alla necessità o meno di una terza dose, ha volto evidenziare che "il divario globale nella fornitura di vaccini” anti-Covid è sempre meno equo. Ovvero, "alcuni Paesi e Regioni stanno effettivamente ordinando milioni di dosi di richiamo, prima che altri Paesi abbiano avuto forniture per vaccinare i loro operatori sanitari e le persone più vulnerabili". In poche parole, c’è chi non riesce neanche a fare due dosi di vaccino, e chi invece sta già acquistando il siero necessario a fare la terza.

Il direttore generale dell'Organizzazione, Tedros Adhanom Ghebreyesus, durante la solita conferenza stampa per fare il punto sull'epidemia di coronavirus ha ribadito che vi è la necessità che "Moderna e Pfizer, invece di dare priorità alla fornitura di richiami ai Paesi in cui la popolazione ha una copertura relativamente alta, facciano di tutto per incanalare la fornitura" alla piattaforma Covax e alle Nazioni a reddito medio-basso. Infatti, come ha poi osservato, i dati che abbiamo adesso mostrano che il vaccino offre un'immunità di lunga durata contro Covid-19 grave e mortale. A fronte di questo, la priorità deve essere quella di salvaguardare coloro che non hanno ancora ricevuto la vaccinazione, e quindi la protezione. In poche parole, tutti devono essere protetti allo stesso modo. "Basta parlare di vaccinare i Paesi a basso reddito nel 2023, 2024. Non è il momento di una pausa. Vogliamo vedere progressi e un'ondata di azioni per aumentare l'offerta e la condivisione di strumenti sanitari salvavita" ha continuato il dg dell’Oms.

La scorsa settimana Pfizer aveva annunciato che sta sviluppando una versione aggiornata del vaccino, in modo che sia efficiente anche nel combattere la variante Delta. Nello spiegare che dopo sei mesi dalla seconda dose l'efficacia degli anticorpi prodotti dal vaccino cala, nonostante questi siano ancora sufficienti a prevenire forme gravi di malattia, Albert Bourla, l’ad di Pfizer, aveva pronosticato che probabilmente le persone avranno bisogno di una dose di richiamo di vaccino anti Covid-19 ogni anno. Subito era intervenuta la Fda, la Food and Drug Administration, che aveva sottolineato che in questo momento gli americani non hanno bisogno di una terza dose di vaccino. Della stessa idea anche l’Ema, l’Agenzia europea del farmaco. Il tempo trascorso è ancora troppo poco per avere certezze sulla durata della protezione.

Incertezza sulla necessità di una terza dose

In Italia, Franco Locatelli, portavoce del Comitato tecnico scientifico, ha spiegato che "non abbiamo evidenza ad oggi di quanto duri la risposta immunitaria conferita dai vaccini anti-Covid" con due dosi, "e da qui deriva un'incertezza sulla necessità e sul tempo in cui eventualmente dovesse porsi come opportuna o addirittura necessaria la somministrazione di una terza dose. Ma quello che è importante è farci trovare preparati". L’importante adesso è essere pronti e non farsi trovare impreparati come era avvenuto nella primavera dello scorso anno. Secondo Locatelli significa “creare una struttura di Ricerca e Sviluppo di vaccini che in periodi interpandemici si può largamente occupare anche della problematica dell'antibioticoresistenza, anche attraverso lo sviluppo di anticorpi monoclonali che rappresentano una strategia innovativa di grande prospettiva anche in questo ambito, oltre che nella gestione dei malati Covid. Significa rendere disponibile per il Paese le dosi che dovessero essere necessarie per la somministrazione di questa terza dose". Tra l’altro, come ha ricordato il portavoce del Cts, l’Italia si è già assicurata 100 milioni di dosi per i prossimi due anni e potrebbe quindi riuscire a gestire anche una terza dose e successivi richiami.

Su questo argomento il commissario straordinario Francesco Figliuolo ha tenuto a rassicurare: “Non si sa ancora della reale necessità, ma noi siamo attrezzati per la terza dose su tutta la popolazione e sarà necessario coinvolgere pediatri, medici di base e farmacisti”. Secondo quanto spiegato da Sergio Abrignani, immunologo dell’Università degli Studi di Milano e membro del Cts, una terza dose potrebbe diventare necessaria nel momento in cui vi è la certezza che la memoria immunologica indotta dalle due dosi di siero sta realmente calando a un livello tale per cui a un certo punto i vaccinati non sono più protetti e rischiano di contrarre il virus, o anche per l’arrivo di una variante non riconosciuta dai vaccini in uso.

In questo momento né l’Ema né l’Aifa hanno dato indicazioni sulla somministrazione di una terza dose ai pazienti immunodepressi.

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