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L'attaco di Parigi e i misteri sull'attentatore e sul movente

Il movente che ha portato un convertito all'Islam a compiere il massacro in prefettura non risulta ancora chiaro; oltre all'ipotesi jihadista ve ne sono anche di personali. Alcune riflessioni.

L'attaco di Parigi e i misteri sull'attentatore e sul movente

L'attacco avvenuto ieri in prefettura a Parigi ad opera di un 45enne convertito all'Islam che ha ucciso quattro persone e ferito altre due, prima di venire a sua volta abbattuto da un agente, lascia emergere non pochi punti interrogativi. Primo fra tutti, è terrorismo oppure no? Difficile al momento fornire una risposta, in assenza di sufficienti elementi che possano fornire un quadro esaustivo dell'episodio.

Ci sono però alcuni aspetti su cui vale la pena riflettere, primo fra tutti, il fatto che l'attentatore, identificato come Michael Harpon, abbia utilizzato un coltello in ceramica, uno di quelli difficilmente individuabili tramite metal detector. Un dettaglio che lascia intendere la premeditazione del gesto. L'aggressore, essendo a sua volta impiegato amministrativo presso l'unità informatica del Drpp, la direzione d'intelligence della polizia, sapeva bene che un coltello in metallo non sarebbe mai passato ai controlli ed ha dunque optato per una soluzione decisamente non banale.

Restano invece da chiarire le motivazioni del gesto. La moglie di Harpon, Ilham Eddibes, ha fatto sapere che il marito, sordo al 70% e muto, non era affatto soddisfatto della propria posizione lavorativa ed era convinto di non riuscire ad avanzare di carriera a causa dei superiori che non riconoscevano il suo valore. Diversi colleghi hanno poi confermato come Harpon non venisse preso molto sul serio a lavoro. E' dunque possibile che ciò abbia influito a scatenare la furia omicida di Harpon, ma non può essere l'unico "trigger" scatenante. Si è anche parlato di una possibile motivazione sentimentale, anche se al momento non vi sono elementi per poterlo confermare. E' indubbio che Harpon presentasse un profilo psicologico molto fragile, ma chi lo conosceva lo dercriveva come una persona tranquilla, dal carattere non estremo e il poco che emerge dai profili Facebook dell'uomo e di sua moglie, non mostra alcunchè di allarmante.

La conversione all'Islam

Michael Harpon, originario della Martinica, si era convertito all'Islam 18 mesi fà, forse per venire incontro alla moglie musulmana, sposata il 10 maggio 2014, ma ciò non è di per sè un segnale automatico di radicalizzazione; va infatti evidenziato che il fatto stesso di aver sposato una donna musulmana prima di covertirsi è difficilmente ricollegabile al fenomeno della radicalizzazione islamista in quanto un'ipotesi del genere non sarebbe attuabile e neanche ponderabile. Difficile dunque ricollegare il background familiare a un'eventuale radicalizzazione.

Può invece risultare utile indagare sulle frequentazioni di Harpon dalla fase immediatamente anteriore alla conversione fino ad oggi. Alcuni testimoni hanno affermato che Harpon frequentava la moschea del quartiere e non è dunque possibile escludere a priori che non vi sia stato qualche contatto particolare in loco; ovviamente è soltanto un 'ipotesi. Un'altra pista utile è quella del web, attualmente non è infatti dato sapere se l'aggressore consultasse materiale radicalizzante su internet o se avesse contatti virtuali con soggetti radicali o vicini al jihadismo globale.

Vi è poi la testimonianza di un vicino di casa che avrebbe sentito Harpon gridare "Allahu akbar" nel cuore della notte, mentre mancano testimonianze su eventuale invocazione durante l'attacco. Bisogna riconoscere che il grido "Allahu akbar" è spesso erroneamente inteso come "pedigree" dell'attentatore jihadista o come "rivendicazione automatica", quando invece il fenomeno è ben più complesso e certamente non catalogabile in base a ciò. Per capire le reali motivazioni di Harpon è essenziale scandagliare le sue frequentazioni fisiche e virtuali, tenendo ben presente che il soggetto in questione era descritto da molti come un solitario.

L'infiltrazione jihadista tra le forze dell'ordine francesi

Lo scorso giugno i parlamentari francesi Eric Diard ed Eric Poulliat, rispettivamente della destra gollista e del partito di Emmanuel Macron, avevano presentato un rapporto shock sull‘infiltrazione islamista nel settore pubblico transalpino, forze dell'ordine incluse. I due politici avevano inoltre organizzato una serie di audizioni a porte chiuse, a partire dal novembre 2018, con alti funzionari delle istituzioni come prefetti, dirigenti dell’intelligence, ufficiali di polizia e dell’esercito, con l’obiettivo di far presente la situazione. Gli islamisti radicali risultano infatti infiltrati in numerosi settori tra cui l’azienda trasporti parigina Ratp, gli aeroporti, le scuole, le università ma anche in polizia, nell’esercito, tra i vigili del fuoco, negli uffici pubblici e all’interno dei sindacati. Inoltre, secondo un rapporto del DSPAP (Direzione sicurezza dell'agglomerato parigino) citato da Bfmtv, tra il 2012 e il 2015 sono stati 17 i casi di radicalizzazione nella polizia.

Vale inoltre la pena ricordare che uno degli uomini della scorta di Laurent Sourisseau “Riss”, direttore di Charlie Hebdo, venne rimosso dall’incarico dopo un’indagine svolta dalla Direction genérale de la sécurité extérieure (Direzione generale della sicurezza esterna). Secondo l’inchiesta il funzionario di polizia consultava infatti siti di propaganda inerenti all’islam radicale.

Per tornare all'attacco di ieri a Parigi, è prematuro dire se si tratta di attentato terroristico di matrice islamista perpetrato da un convertito o un semplice atto di follia criminale in quanto, allo stato attuale, non vi sono elementi sufficienti.

Tutte le ipotesi restano valide al momento.

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