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Libano, al confine siriano

Prima del confine siriano, un checkpoint libanese segna la frontiera. Poi diventa terra di nessuno per due chilometri fino a quando non si arriva a quello siriano

Libano, al confine siriano

Tra Beirut e Damasco - Le strade che dall’Europa portano a Damasco non sono tante. L’aeroporto della capitale siriana offre soltanto pochi voli internazionali ecco perché Beirut è una tappa fondamentale. Qui la situazione è apparentemente tranquilla anche perché a monitorare le zone principali della città libanese sono i soldati dell’esercito schierati nei vari posti di blocco.

Le strade che portano ad Est, al confine, sono trafficate come sempre, i marciapiedi ricoperti da rifiuti (la situazione sta diventando ingestibile dopo l’affluenza di circa 1 milione 200mila profughi). Ogni tanto dall’altro lato della strada file di blindati si dirigono verso il centro. Sulle mura degli edifici appena fuori l’aeroporto gigantografie raffigurano Hassan Nasrallah (leader di Hezbollah), Nabih Berri (presidente del parlamento libanese) e Bashar Al Assad, uno accanto all’altro, proprio a sottolineare la sacra alleanza tra i due Paesi e le forze sciite che fin dall’inizio sono state coinvolte nel conflitto.

La grande autostrada che separa le due capitali, Beirut e Damasco, è lunga circa 110 chilometri e, a mille metri d’altezza, passa in mezzo alle montagne per poi giungere nella Valle della Beka (da qui la Roma imperiale estendeva i suoi possedimenti fino a Gerusalemme). Sono migliaia le macchine che ogni giorno tra un checkpoint ed un altro la percorrono. Fino a qualche anno fa questa non era nemmeno percorribile a causa del conflitto che si era esteso nei dintorni: miliziani di Al Nusra piazzavano autobombe, organizzavano falsi posti di blocco, rapivano chi passava in macchina per terrorizzare la popolazione. Oggi è un luogo sicuro controllato dai due eserciti che cooperano costantemente.

Prima del confine siriano, un checkpoint libanese segna la frontiera. Poi diventa terra di nessuno per due chilometri fino a quando non si arriva a quello siriano. Un grande arco con in cima un ritratto di Bashar Al Assad accoglie gli automobilisti e chi a piedi cammina per ore intere. Storicamente il "Paese dei cedri" è sempre stato un satellite della "Grande Siria" (che occuperà in parte militarmente fino al 2005). Il rapporto di forza si nota immediatamente dall’organizzazione dei posti di blocco alle frontiere così come dall’atteggiamento dei soldati dei rispettivi eserciti. Da una parte un Paese semi-anarchico (le divise dei soldati sono tutte diverse), dall’altro uno Stato dirigista, gerarchico, che impartisce ordini precisi.

Nella tratta verso Damasco le automobili della polizia vigilano ininterrottamente la zona che fino a pochi mesi fa era minacciata da predoni armati e da gruppi terroristici. Eppure poco lontano da qui, ci dicono, non manca il rumore di mortai e mitragliatrici. Il sentiero porta anche a Zabadane nella regione del Qalamoun, conquistata di recente dopo un duro assedio e controllata in buona parte dai miliziani sciti di Hezbollah e dall’esercito regolare siriano. I giornali del luogo scrivono che è in corso l’offensiva finale contro l’ultima roccaforte dei jihadisti: Zabadene è fondamentale dal punto di vista strategico per il presidente Bashar Al Assad perché si colloca a metà strada tra le due capitali e di fatto il suo controllo rende più sicuro il transito autostradale che è vitale per il commercio e la cooperazione internazionale.

Nei posti di blocco che si succedono in territorio siriano i soldati sorridono ai passanti dandogli il benvenuto. Da queste parti il morale delle truppe è alto. Una decina di chilometri più avanti Damasco e i suoi cittadini sono al sicuro. La città, sconfinata, è meticolosamente controllata da una serie di posti di blocco che circonda tutta l’area urbana (il sistema di sicurezza si articola su un anello di checkpoint, uno dentro l’altro). Entrando da “Bagdad Street”, la via principale che porta nei quartieri più centrali dove ci sono i palazzi governativi, da quello presidenziale al parlamento siriano, la sicurezza diventa sempre più rigida. Negli ultimi giorni alcune agenzie occidentale hanno riferito di un imminente conflitto nella capitale con gli jihadisti che si troverebbero a pochi chilometri dal centro storico. Eppure a vederla da vicino Damasco appare come una vera e propria roccaforte, difficile per chiunque da espugnare via terra.

Le strade percorribili per ribaltare il governo siriane potrebbero essere soltanto queste: o i bombardamenti aerei oppure la rivolta dall’interno come accaduto ad Homs.

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