Il Libano è da circa un anno e mezza senza un presidente della Repubblica. L’ultimo capo di Stato, Michel Sleiman, si è dimesso il 25 maggio 2014, e da quel giorno i vari schieramenti eletti non sono riusciti a superare l’impasse governativa. Inoltre è la spazzatura a farla da padrona nella capitale, nelle periferie e nella regione del Monte Libano. Per le strade di Beirut si accumulano 450 tonnellate di rifiuti al giorno e dal 17 luglio, dopo la chiusura della discarica di Naamé, dove venivano scaricate circa 2mila 800 tonnellate di rifiuti al giorno, e la fine del contratto con la Sukleen, l’impresa che da 18 anni gestiva in regime di monopolio lo smaltimento, della raccolta non se ne occupa quasi più nessuno.
Ieri sera in Parlamento, nel centro della città di Beirut, la nona sessione, boicottata dal partito Kataeb (falangisti) di Samy Gemayel, si è conclusa con un nulla di fatto ed è sta convocata nuovamente il 17 novembre prossimo. Per il Paese dei Cedri le priorità sono tre: la nomina del nuovo presidente, la crisi dei rifiuti e la questione dei profughi legata al conflitto siriano. La “Coalizione dell’8 marzo” sostenuta da Teheran, di cui fanno parte gli sciiti di Hezbollah, Amal e i cristiani del generale Michel Aoun, ha accusato violentemente il blocco sunnita del “14 marzo”, vicino alla famiglia dell’ex premier assassinato Rafiq Hariri e appoggiato invece da Riad, di ostacolare la stabilizzazione politica del Libano. Secondo Sayed Hashem Safi, capo del comitato esecutivo del “Partito di Dio” guidato da Nasrallah, dietro questo ostruzionismo ci sarebbe il regime saudita, il quale vorrebbe mantenere il Paese in uno stato di caos permanente indebolendo così i partiti filo-siriani di maggioranza. Già pochi giorni fa durante un incontro a Teheran tra il presidente della Repubblica Islamica e gli ambasciatori iraniani all’estero, Hassan Rohani aveva esortato l’Arabia Saudita, eterna rivale, a porre fine alle ingerenze nei Paesi della regione vicino e mediorientale.
Il Libano è infatti uno dei tanti teatri invisibili dove si affrontano Iran, patria dello sciismo, e Arabia Saudita, baluardo del mondo arabo sunnita, soprattutto ora che la guerra in Siria, Paese limitrofo, li coinvolge entrambi. A tutelare gli interessi di Teheran è il partito sciita di Hezbollah, il quale viene sostenuto prima di tutto militarmente. Riad invece, tramite la famiglia miliardaria degli Hariri, si ritaglia spazi economici e religiosi, e in secondo luogo politici e geo-strategici, erigendo banche, grandi edifici commerciali e moschee sfarzose. L’instabilità del Libano giova infatti al traffico illecito di armi, denaro e droga.
Vedi il recente arresto all’aeroporto di Beirut di un principe saudita il quale doveva far arrivare a Riad a bordo di un jet privato un carico da due tonnellate di Captagon (pillole contenenti anfetamine, vietate in gran parte dei Paesi del mondo ma molto diffuse in Medio Oriente), il cui traffico, insieme a quello di altre sostanze, è considerato una delle fonti di finanziamento della guerra in Siria. Business make war, war make business.
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