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"Ma è l'uomo forte di un Paese debole"

Intervista a Vittorio Emanuele Parsi, esperto di relazioni internazionali: "Putin ha avuto più di quanto ha dato"

"Ma è l'uomo forte di un Paese debole"

Quattro mandati e la prospettiva di 25 anni di potere. Vittorio Emanuele Parsi, professore di Relazioni Internazionali all'Università Cattolica di Milano, cosa rappresenta oggi Putin?

«Tutti i limiti della Russia post-sovietica. La sua grande performance di interprete unico della nuova autocrazia russa, per molti aspetti è il limite della Russia post-sovietica. Dopo oltre sessant'anni di comunismo, il Paese ha riprodotto un'edizione aggiornata della vecchia autocrazia zarista».

È lui l'uomo forte sulla scena mondiale?

«È l'uomo forte di un Paese debole. La Russia ha un'economia più piccola della Corea del Sud, una composizione economica come quella dell'Arabia saudita, con gli orsi invece dei cammelli. Un sistema in cui chi governa il Paese possiede le risorse del Paese».

Il leader di un'oligarchia?

«Peggio di un'oligarchia, la Russia oggi non è diversa dalla Cina o dai Paesi del Golfo ma è molto più piccola in termini di potenziale. Eppure ha un enorme potenziale militare, quello su cui Putin ha investito da subito, rendendo le forze armate le più efficienti dai tempi dell'Armata rossa. Si è visto in Siria e in Ucraina. Eppure, per riprendere un libro di Vittorio Gassman, la Russia mi sembra un Paese con un grande futuro alle spalle».

Ma il suo consenso è ancora amplissimo.

«Mobilitare l'opinione pubblica nel nome dell'identità e del patriottismo è la cosa più vecchia e semplice del mondo. E poi Putin ha vinto contro un'opposizione che non esiste. Che è stata squalificata, mandata in Siberia, eliminata col plutonio o col gas nervino. Si dice che Putin non abbia rivali, ma così è facile. Il problema è proprio che non ha rivali. Ed è un problema per la Russia».

Potrebbe essere solleticato dall'idea di garantirsi potere a vita?

«Ma non sarebbe una manifestazione di forza. Guardiamo Trump, la forza degli Stati Uniti è che, al massimo, dopo otto anni, il presidente lascia. È la forza delle democrazie, che impedisce alla virtù di essere sovrana ma consente al vizio di non essere tiranno. Forse Putin è un genio ma è la sua tirannide che sta schiantando la Russia. Putin non ha fatto bene alla Russia, è la Russia che ha fatto bene a lui, che oggi è l'uomo più ricco del Paese mentre prima di essere primo ministro era con le pezze al sedere».

L'avvelenamento della spia russa a Londra. C'è chi pensa che Putin non avesse interesse. E chi dice volesse lanciare un messaggio mafioso. Lei?

«Gli esuli russi ci dicono che voleva mandare un messaggio chiaro: chi si oppone, muore. Facciamoci qualche domanda: nel mondo quali altri interessi potevano desiderare la morte di questa persona? Chi aveva la disponibilità di gas nervino? Chi poteva permettersi uno scandalo di questo tipo? È difficile che tre indizi non facciano una prova. La risposta è che non c'è un colpevole assoluto ma che il più probabile si chiama Vladimir Putin».

La reazione dell'Europa è stata adeguata?

«Gran Bretagna, Francia e Germania hanno dato una risposta importantissima affermando che anche se il Regno Unito è uscito dalla Ue con la Brexit resta concettualmente in sintonia con l'Europa. Siamo i Paesi dell'Occidente e dell'Occidente europeo. Non puoi usare un gas illegale a casa di un altro membro permanente del Consiglio di Sicurezza. Su questo Putin ha perso la sua scommessa».

E le influenze sul voto occidentale?

«Trump non ha vinto per le influenze russe ma perché di fronte aveva la Clinton. Politiche efficaci rendono inutili bugie, menzogne e trucchetti.

Politiche inefficaci aprono lo spazio al gioco delle tre carte».

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