Abe e Obama a Pearl Harbor: rimpianto, ma niente scuse

I presidenti dei due Paesi, un tempo nemici, condannano odio e orrore della guerra

Abe e Obama a Pearl Harbor: rimpianto, ma niente scuse

Un incontro preparato da tempo, finalmente concretizzato. Il simbolo di una "riconciliazione" tra Paesi che durante la Seconda guerra mondiale furono nemici, e che ha avuto il suo culmine nell'omaggio congiunto dei presidenti di Giappone e Stati Uniti alle vittime dell'attacco su Pearl Harbor.

Shinzo Abe e Barack Obama ci sono andati insieme al luogo dove fu distrutta la flotta degli Stati Uniti nel Pacifico. Una commemorazione comune, per un'operazione in cui morirono 2.400 persone, e per ricordare non "l'odio che brucia di più", ma il superamento del dolore e dell'inimicizia.

"Quando il richiamo al tribalismo è più forte, dobbiamo resistere alla spinta a rinchiuderci, a demonizzare chi è differente", ha detto a Pearl Harbor Barack Obama, in un discorso che è sembrato rivolto anche al nuovo presidente americano.

"Noi non dobbiamo più ripetere gli orrori della guerra: questo è il solenne impegno che noi giapponesi abbiamo preso", ha aggiunto Shinzo Abe, che ha rivolte le sue condoglianze alle famiglie delle vittime di quell'attacco del 7 dicembre 1941, ma che, come era già previsto, non ha presentato le scuse del suo Paese.

E d'altronde neppure Obama lo aveva fatto a Hiroshima.

Un atteggiamento che nei giorni scorsi aveva portato a commenti inclementi in Cina, con Pechino che accusava Abe di "revisionismo", pretendendo le scuse per "i crimini commessi dal Giappone durante la guerra".

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