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Ora è certo: la Cia ci ha spiato per mezzo secolo

Il Washington Post ha scoperto la strategia adoperata dalla Cia per spiare i messaggi d’intelligence di alleati e avversari per tutta la durata della Guerra Fredda. Come? Mettendo le mani sulla Crypto AG

Ora è certo: la Cia ci ha spiato per mezzo secolo

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Alcuni lo hanno sempre sospettato, ma ora ne abbiamo l'indubbia certezza: per decenni la Cia ha spiato le comunicazioni riservate di alleati e avversari per merito di un astuto e insospettabile escamotage che le ha permesso di decrittografare i messaggi "segreti" di oltre 130 Paesi.

Dall'Iran al Vaticano, tutti gli Stati sovrani scelsero di dotarsi di particolari macchine che consentissero di scambiarsi comunicazioni crittografate - ossia indecifrabili senza la conoscenza di un dato codice - per tenere all'oscuro chiunque cercasse di spiare quei messaggi che dovevano rimanere "segreti". Questo se solo non avessero deciso di affidarsi tutti alla stessa società: la Crypto AG della sempre neutrale Svizzera che però - all'insaputa di tutti - venne acquisita dall'agenzia di spionaggio americana già nell'immediato dopoguerra.

Secondo quanto è emerso da un'indagine svolta dal Washington Post e Zdf, già nel 1951 la Crypto Ag era segretamente controllata dalla Central Intelligence Agency e dalla Bundesnachrichtendiens: l'agenzia di spionaggio di quella che allora era la Germania Ovest. Una volta messe le mani sulla società, gli 007 americani avrebbero trovato il modo per truccare segretamente i dispositivi che poi l'azienda avrebbe venduto ai propri clienti. In quel modo la Cia sarebbe stata in grado di violare i codici scelti da potenze alleate e avversarie e di decrittografare i loro messaggi. Iniziava così nel 1970 l'Operazione "Thesaurus" poi divenuta nota come "Rubicon".

“È stato il colpo di stato dell'intelligence del secolo” scrive la Cia in un rapporto trascritto dal Post “I governi stranieri stavano pagando un mucchio di soldi agli Stati Uniti e alla Germania occidentale per far leggere le loro comunicazioni più segrete”. La società svizzera Crypto Ag, produttrice di dispositivi di crittografia simili alla più famosa macchina "Enigma", allora era leader del settore e lo è rimasta fino all'inizio del 21esimo secolo. Essa apparteneva inoltre (o almeno sulla carta) ad un paese neutrale, che non si era allineato ai blocchi della Guerra Fredda, e che dunque rappresentava una sorta di "garanzia" per potenze intermedie e minori. Né l'Unione Sovietica né la Repubblica Popolare cinese - ovviamente - si esposero mai al rischio, affidandosi a sistemi propri.

L'inchiesta del Washington Post si è basata su una serie di conversazioni con "ex dipendenti" dei servizi di intelligence e della Crypto Ag e su quanto riportato nel documento “Minerva”: un report stilato dalla stessa Cia che racconta i passaggi di quello che viene considerato come un successo d'intelligence senza precedenti. I dispositivi di Crypto Ag "truccati" dalla Cia finirono infatti nelle sedi governative di potenze strategiche come Iran, India, Pakistan e persino nello Stato del Vaticano. Quasi la totalità dell'America Latina si era affidata alla società svizzera, come anche diversi partner della Nato, tra cui c'erano l'Irlanda, la Spagna, il Portogallo, la Turchia, e anche l'Italia. Inutile dire dunque quante crisi importanti e quanti segreti siano stati così messi alla mercé delle spie di Washington: dai progressi nei programmi nucleari di India e Pakistan, alla crisi di Sigonella, passando, forse, per le comunicazione del servizio segreto vaticano riguardanti il misterioso "Caso Orlandi".

Secondo quanto emerso dall'inchiesta, l’operazione di spionaggio iniziata nel 1970 avrebbe visto l'uscita dei servizi segreti tedeschi nel 1994 a causa del timore che quel "grande successo", se rivelato, potesse compromettere i rapporti con gli altri alleati della Nato.

Secondo la versione della Cia però, avrebbe comunque atteso fino al 2018 per cedere le sue quote azionarie di Crypto Ag.

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