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La presidente di Taiwan visita la sede della Nasa, provocazione degli Usa alla Cina

Per la prima volta nella storia un leader di Taiwan visita una sede governativa statunitense, nel pieno delle tensioni commerciali tra Usa e Cina

La presidente di Taiwan visita la sede della Nasa, provocazione degli Usa alla Cina

La presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, ha visitato domenica il Johnson Space Center di Houston, nel Texas, quartier generale della National Aeronautics and Space Administration (Nasa).

Tsai è divenuta così il primo leader di Tiawan nel pieno delle proprie funzioni a varcare la soglia di un edificio governativo statunitense: un affronto diretto e senza precedenti alla Cina, che giunge nel pieno delle ostilità commerciali tra le due maggiori Economie globali e in un clima di crescente tensione militare nello Stretto di Taiwan. Washington ha autorizzato il transito di Tsai sul territorio statunitense lo scorso fine settimana, per consentirle di presenziare alla cerimonia di insediamento del presidente del Paraguay, Mario Benitez. La visita di Tsai presso al quartier generale della Nasa, parte di una sosta di 27 ore a Houston, ha incluso il Centro di controllo delle missioni e il centro di comando degli astronauti, stando al resoconto fornito dall’agenzia stampa ufficiale di Taiwan, “Taiwan Central News Agency”. Tsai ha pubblicato foto della visita sul proprio profilo Facebook, spiegando che a farle da guida è stato il direttore di volo della Nasa, Royce Renfrew. Durante il viaggio d’andata, il 13 agosto scorso, la presidente aveva fatto tappa a Los Angeles e visitato la Biblioteca presidenziale Ronald Reagan, dove aveva tenuto un discorso elogiando il contributo dell’ex presidente Usa alle relazioni bilaterali.

In passato soste anche brevi di leader taiwanesi sul territorio statunitense hanno innescato dure proteste da parte di Pechino, che rifiuta di riconoscere la statualità di Taipei, e di intrattenere relazioni diplomatiche con qualunque Stato faccia altrimenti. Taiwan, che conta circa 23 milioni di abitanti, opera di fatto con qualunque altra nazione democratica del globo, con un proprio governo, la propria moneta, forze armate e una politica estera autonoma. La recente visita di Tsai nell’America Latina, durante la quale la presidente ha fatto tappa anche nel Belize, puntava proprio a consolidare l’immagine di Taiwan come nazione democratica sovrana e indipendente dalla Cina, in un contesto di crescenti pressioni diplomatiche e militari da parte di Pechino. “Tramite questo viaggio, il mondo intero potrà osservare a Taiwan, e (…) il nostro sostegno alla democrazia e alla libertà”, aveva dichiarato Tsai dieci giorni fa, prima di partire alla volta di Los Angeles. “Dobbiamo essere fermi, cosicché nessuno possa obliterare l’esistenza di Taiwan”.

Il ministero degli Esteri cinese ha risposto alla duplice sosta di Tsai negli Usa lunedì, con una protesta formale all’indirizzo di Washington. Pechino, ha dichiarato il portavoce del ministero, Lu Kang, “si opporrà a qualunque paese fornisca mezzi e luoghi a personalità rilevanti di Taiwan per condurre attività” tese ad ampliarne il riconoscimento internazionale. “Abbiamo ripetutamente chiarito la nostra posizione solenne a tutti i paesi interessati”, ha aggiunto il portavoce. “Siamo contrari a qualunque scambio ufficiale con Taiwan da parte dei paesi che hanno relazioni diplomatiche con la Cina, inclusi gli Stati Uniti”. La vera risposta di Pechino alla visita di Tsai negli Usa, però, sembra essere giunta ieri, con l’improvvisa rottura delle relazioni diplomatiche tra Taipei ed El Salvador, uno dei 18 Stati che ancora intrattenevano rapporti formali con l’Isola. Il ministro degli Esteri di Taiwan, Joseph Wu, ha dichiarato che dal piccolo paese centroamericano era giunta a Taipei la richiesta di una “somma astronomica” in aiuti finanziari, mentre in parallelo San Salvador aveva già avviato trattative con Pechino per aiuti e investimenti. “Il governo di Taiwan è del tutto contrario a competere con la Cina sul piano della diplomazia del dollaro”, ha dichiarato il ministro Wu.

Quasi in contemporanea, il presidente di El Salvador, Salvador Sanchez, ha annunciato tramite un discorso televisivo alla nazione la cessazione delle relazioni formali con Taiwan e l’instaurazione di relazioni diplomatiche con la Cina. El Salvador è soltanto l’ultimo di una lista ormai lunga di paesi che hanno ceduto alle pressioni politiche e alle lusinghe economiche della Cina, che pone il principio di “una sola Cina” come prerequisito imprescindibile per l’estensione della propria assistenza economica e finanziaria.

Lo scorso maggio il Burkina Faso ha annunciato l’interruzione delle relazioni con Taipei in favore di quelle con Pechino, e il mese prima era stata la volta della Repubblica Dominicana; lo scorso anno era toccato a Panama e al Gambia, e prima ancora, nel dicembre 2016, aveva rinunciato alle relazioni con Taipei il piccolo arcipelago africano di São Tomé e Príncipe.

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