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Da Al Qaeda all'Isis fino ai "tale-buoni". Evoluzione del terrore

Da Al Qaeda all'Isis fino ai "tale-buoni". Evoluzione del terrore

Kabul (Afghanistan) Quasi tremila morti negli attentati dell'11 settembre. Altri 193 alla stazione di Madrid l'11 marzo 2004. Cinquantasei, nel luglio di un anno dopo, dentro la metrò di Londra. E poi la strage di Parigi del novembre 2015 con i suoi 137 corpi straziati. Per non parlare di quelli maciullati dai camion utilizzati, nel luglio 2016, per far strage sulla Promenade d'Anglais di Nizza e - a dicembre dello stesso anno - tra i mercatini di Natale di Berlino. Fino alla decapitazione, lo scorso 28 ottobre, di tre innocenti nella basilica di Nizza, seguita, sei giorni dopo, dall'azione di un «lupo solitario» dell'Isis che a Vienna riduce in fin di vita quattro passanti. Sono solo alcuni dei massacri messi a segno dopo l'11 settembre dal terrore fondamentalista. Ma siamo sicuri sia finita? Non illudiamoci. L'addio all'Afghanistan e il modo in cui abbiamo abbandonato gli afghani non sarà indolore. La storia ce l'ha insegnato. Il terrorismo oltre ad essere l'espressione di un'articolazione violenta e fanatica dell'Islam è anche la conseguenza dei nostri errori. Al Qaeda nacque in quell'Afghanistan dove Zbigniew Brzezinski, Segretario di stato dell'era Carter, puntava a logorare l'impero Sovietico armando i mujaheddin e aiutando le legioni di militanti islamisti che, sotto guidati da Arabia Saudita e Pakistan, correvano a combattere l'Armata Rossa. Al Qaida, nella versione originale, inaugurata nei primi anni 80 da Osama bin Laden, è un'agenzia di viaggi incaricata di convogliare in Afghanistan gli apprendisti combattenti provenienti da tutto il mondo islamico. Analogamente il terrorismo dello Stato Islamico, con cui ci misuriamo dal 2014 è la conseguenza degli errori inanellati prima in Iraq, poi in Siria e, infine, in Libia. Quando, nella primavera 2003, gli Usa e le forze della coalizione abbattono il regime di Saddam Hussein i vertici dell'esercito sconfitto e la classe dirigente irachena attendono soltanto di mettersi agli ordini di Washington e ricostruire il Paese. Ma gli americani, oltre a rifiutarne la collaborazione, sciolgono l'esercito mettendo sul lastrico 500mila famiglie. Non contenti mettono al bando tutta la classe dirigente legata al partito Bath. Militari ed ex apparato bathista si trasformano così in una formidabile base di consenso per un'insurrezione islamista ferocemente anti occidentale. Proprio sfruttando quel malcontento il terrore jihadista, sconfitto in Afghanistan, rinasce in Iraq e avvia quella metamorfosi che porta molti militanti ad abbandonare Al Qaida per il nascente Stato Islamico. La prima manifestazione di quella metamorfosi è la decapitazione, nel maggio 2004, di Nick Berg, un 26enne americano rapito dalla cellula alqaidista di Abu Musab Al Zarqawi. Quelle immagini atroci postate su internet segnano la nascita di un nuova forma di terrore capace di sfruttare la dimensione virtuale della rete sia per diffondere paura e sgomento, sia per raccogliere nuovi adepti. Ai prolissi proclami di bin Laden si sostituiscono così immagini e slogan capaci di farci rabbrividire e trasferire la sensazione d'impotenza direttamente nelle nostre case. Uno sgomento che diventa ammirazione tra gli ex-sostenitori di Al Qaida e tra quelle seconde generazioni delle periferie europee alla ricerca di una rivalsa per la propria mancata integrazione. La nuova comunicazione del terrore trova piena attuazione sotto la guida di Abu Bakr Al Baghdadi, il successore di Zarqawi che nel 2014 conquista Mosul, annuncia la nascita dello Stato Islamico e si auto proclama Califfo. Ma l'emancipazione comunicativa porta con se anche quella organizzativa. Alle cellule strutturate su base territoriale, ma dirette da una regia concentrata sulla realizzazione di piani complessi si sostituisce un'organizzazione in larga parte spontaneista. Un'organizzazione che si limita ad ispirare il lupo solitario e, a volte - come nel caso delle stragi con i camion di Nizza e Berlino - non deve nemmeno fornirgli gli strumenti per l'azione. Così alle strutturate cellule alqaidiste si sostituisce un'organizzazione resa invisibile e imprevedibile dalla dimensione individuale dell'attentatore. Ma l'elaborazione di una comunicazione sofisticata capace di diventare forma organizzativa richiede una base territoriale come quella del Califfato. A garantirne la nascita contribuisce il frettoloso ritiro dall'Iraq che regala ai militanti dell'Isis - come oggi in Afghanistan ai talebani - il controllo di enormi arsenali di armi americane destinate all'esercito di Bagdad. Proprio quegli arsenali consentono al Califfato di espandersi in Siria e assimilare quei militanti jihadisti su cui l'Occidente scommetteva, invece, per far cadere Bashar Assad. Ma l'errore fatale è quello del 2011 quando Europa e Stati Uniti scelgono non solo d'ignorare il fanatismo anti-occidentale nascosto sotto le parvenze riformiste delle cosiddette «primavere arabe», ma anche di abbandonare leader come Muhammar Gheddafi, Hosni Mubarak e quel presidente tunisino Ben Alì pronti ad arginare l'avanzata jihadista Allo stesso modo oggi, dieci anni dopo, abbiamo voltato le spalle al legittimo governo afghano per inseguire l'illusione dei talebani trasformati in «tale-buoni».

Un'illusione che rischiamo di pagare, purtroppo, con altre vite umane.

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