Guerra in Ucraina

Le radici della guerra in Ucraina secondo papa Francesco

Nell’intervista al Corriere della Sera, il Santo padre ragiona sulle origini del conflitto. Ecco perché ha ragione

Le radici della guerra in Ucraina secondo papa Francesco

C'è un passaggio, nell'intervista che papa Francesco ha concesso al Corriere della Sera di oggi, che val la pena sottolineare. Un passaggio in cui il Pontefice cerca, seppur in poche battute, di comprendere quali sono le ragioni - meglio: le motivazioni - del conflitto che, da oltre due mesi, sta insanguinando l'Ucraina.

"La preoccupazione di papa Francesco - scrive il quotidiano di via Solferino - è che Putin, per il momento, non si fermerà. (Il Santo padre, ndr) tenta anche di ragionare sulle radici di questo comportamento, sulle motivazioni che lo spingono a una guerra così brutale. Forse 'l'abbaiare della Nato alla porta della Russia' ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto. 'Un’ira che non so dire se sia stata provocata - si interroga -, ma facilitata forse sì".

In questo passaggio, il Santo Padre evidenzia un fatto che, in questi mesi, è stato dimenticato da tanti (troppi) commentatori: le guerre non scoppiano mai per caso. Nella quasi totalità dei casi, non si tratta della pazzia di un uomo. Ci sono sempre motivazioni profonde - le radici di cui parla papa Francesco, appunto - dietro ai conflitti. E il Santo padre, per la guerra in Ucraina, le individua nell'espansione della Nato verso Est. Un accenno fugace per un momento complesso della storia recente, ma che val la pena di ripercorrere.

Tutto inizia nel 1990. Il muro di Berlino è caduto da poco e l’Unione sovietica si sta piegando su se stessa, prima di crollare definitivamente nel 1991. Si cominciano a discutere i nuovi assetti del mondo. È un periodo di trattative e di spartizioni. E, soprattutto, di "assicurazioni informali", ovvero di patti non scritti tra i leader politici. Non una novità, dato che accordi simili erano stati fatti all’indomani della crisi dei missili di Cuba. In quei mesi del 1990, i rappresentanti politici di Stati Uniti, Urss, Francia, Regno Unito e Germania (Est e Ovest) si incontrano più volte. Devono discutere - questa la cronaca fornita da documenti inediti scovati nei mesi scorsi da Der Spiegel - “della riunificazione tedesca, del disarmo della Nato e del Patto di Varsavia e della nuova Carta per la Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (Csce), che è diventata l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) nel 1995”.

I ricordi di quei giorni sono confusi e non è facile ricomporli. Roland Dumas, all’epoca ministro degli Esteri, racconta che “le truppe della Nato non si sarebbero avvicinate al territorio dell’ex Unione sovietica”. Il segretario di Stato americano dell’epoca, James Baker, nega accordi di questo tipo, ma è smentito da James Matlock, ambasciatore Usa a Mosca.

A volere un accordo con Mosca è soprattutto il ministro degli Esteri tedesco Hans-Dietrich Genscher. Il politico tedesco aveva ben in mente ciò che era successo a Budapest nel 1956 quando, in seguito a una rivolta, i carri armati sovietici entrarono nella capitale dell’Ungheria. Genscher vuole evitare a qualunque costo uno scenario simile e così si adopera per trovare una soluzione, un compromesso, tra Mosca e la Nato. Scrive Der Spiegel: “Il 31 gennaio del 1990, in un discorso, propose alla Nato di rilasciare una dichiarazione in cui si diceva: ‘Qualunque cosa accada al Patto di Varsavia, non ci sarà una espansione del territorio della Nato verso i confini dell’Unione sovietica’”. Le parole di Genscher vengono accolte con favore da Regno Unito, Stati Uniti, Francia e Italia. Gli americani non sono entusiasti ma, per bocca del segretario di Stato, il già citato Baker, fanno sapere che si trattava dell’idea “migliore che avevamo al momento”.

Una rassicurazione, dunque, c’era stata. Ed è stata più volte confermata nel corso degli anni. Sia da parte russa sia da parte occidentale. Secondo quanto riferito da Der Spiegel, per esempio, Bush senior ha affermato: “Non abbiamo intenzione, nemmeno nei nostri pensieri, di danneggiare in alcun modo l’Unione sovietica”. E il presidente francese, François Mitterand ha detto a Gorbacev di essere “personalmente favorevole allo smantellamento dei blocchi militari”. E le citazioni di politici occidentali potrebbero essere ancora tante. Quelle fatte sin qui, però, sono sufficienti per comprendere quali sono le “radici” della guerra di cui parla papa Francesco. Comprenderle non significa in alcun modo giustificare la guerra di Putin. Ma aiutano a comprendere cosa non ha funzionato nel corso di questi decenni. Cosa è andato storto e ha determinato la carneficina che oggi stiamo vedendo.

C’è voluto il Papa per ricordarcelo.

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