Sono passate appena 48 ore da quando i presidenti russo e ucraino, incontratisi a Minsk dopo un tentativo di mediazione della cancelliera Merkel, avevano dichiarato congiuntamente che era venuta l'ora di «mettere fine al bagno di sangue», e già Mosca rilancia, lanciando un migliaio di soldati oltre la frontiera sudorientale dell'Ucraina e occupando la città di Novoazovsk. Se la notizia fosse di sola fonte ucraina, bisognerebbe forse farle la tara, perché Kiev, che ha chiesto subito l'assistenza militare dell'Unione europea, ha tutto l'interesse a drammatizzare l'intervento russo e già in passato ha lanciato accuse che si sono poi rivelate infondate o fondate solo a metà. Ma, stavolta, a confermarla è un portavoce di quella Nato che pure, in passato, aveva messo in guardia contro il «mix di informazione e disinformazione» usato dai belligeranti, e che nel consiglio in programma la settimana ventura a Cardiff dovrà decidere eventuali contromisure. C'è perciò ragione di temere che siamo di fronte all'avvio di una nuova «operazione Crimea», con la differenza che, mentre nella penisola la maggioranza della popolazione desiderava effettivamente una riunificazione con la Russia, da cui era stata un po' arbitrariamente separata da Krusciov, qui ci troveremmo di fronte a una invasione vera e propria, che ricorda in modo inquietante quella della Cecoslovacchia ad opera dell'Armata rossa nel 1968.
Il Cremlino continua a negare un suo coinvolgimento diretto, nonostante la «confessione» di dieci suoi paracadutisti catturati nei giorni scorsi in territorio ucraino e sostiene che i russi che combattono a fianco dell'esercito ucraino sono dei volontari accorsi spontaneamente in aiuto dei loro fratelli minacciati di annientamento. Il primo ministro della secessionista Repubblica del Donetsk, Zakharenko, ha spiegato (a una tv di Mosca) che questi volontari, in numero di 4.000, sono in buona parte militari dell'esercito russo che hanno utilizzato le loro vacanze per venire a combattere in Ucraina. Ma se l'identità dei combattenti è incerta, certissima è l'origine delle modernissime armi, tra cui il micidiale sistema di difesa aerea Panzir S-1, di cui i separatisti dispongono e che mettono in grave difficoltà lo sgangherato esercito ucraino.
Il doppio gioco di Putin e la sua sfrontatezza nel negare l'evidenza sollevano gravi interrogativi sulle sue reali intenzioni. Ha davvero deciso di ignorare le sanzioni occidentali, che pure cominciano a infliggere gravi danni alla economia russa, per puntare alla separazione dall'Ucraina del Donbass (e, dopo l'ultima mossa forse anche della fascia costiera del mare d'Azov), farne una repubblica indipendente o addirittura annetterli? Vuole solo esercitare una pressione così forte sul presidente ucraino Poroscenko, da costringerlo a sospendere le operazioni militari contro i ribelli, che stanno facendo ogni giorno decine di morti anche tra i civili, e a concedere con loro una maggiore autonomia? Oppure, è diventato prigioniero della sua stessa retorica nazional-imperialista, e teme che una ritirata possa addirittura compromettere la sua posizione di potere? Usa, Ue e Nato, che Kiev cerca con ogni mezzo di coinvolgere nello scontro, si domandano in queste ore come reagire senza, possibilmente, compromettere le possibilità di una soluzione negoziata sulle linee esposte dalla Merkel a Kiev. Il segretario della Nato Rasmussen ha (prima, peraltro, dell'ultima violazione delle frontiere) parlato di «una situazione di sicurezza in Europa completamente nuova», ha promesso che l'alleanza rafforzerà la propria presenza alle sue frontiere orientali con più intensi pattugliamenti aerei, la creazione di depositi di materiale bellico nei Paesi più esposti e la costituzione di una forza di pronto intervento, precisando tuttavia che nessuna di queste misure violerà gli accordi in materia conclusi a suo tempo con Mosca. Ma l'Alleanza non ha un trattato di difesa con Kiev e sarebbe obbligata a intervenire solo nell'improbabile eventualità che Putin, con il solito pretesto della protezione delle popolazioni russofone attaccasse le Repubbliche baltiche. La Ue, dal canto suo, ha a disposizione solo l'arma delle sanzioni (che non tutti i Paesi membri sono disposti a inasprire ulteriormente) e l'America appare troppo impegnata su altri fronti per andare oltre le condanne verbali espresse con forza anche ieri sera in una riunione d'urgenza del Consiglio di Sicurezza.
Nessuno, in
realtà, ha molta voglia di «morire per Donetsk». Ciò non toglie che, se la Russia procedesse davvero a impadronirsi del Donbass, reagire diventerebbe inevitabile, e ci infileremmo in un tunnel senza apparente vie d'uscita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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