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Le sfide di Obama nel 2015

Dal rischio stallo a Washington passando per l'immigrazione e l'Obamacare fino al pericolo di una nuova guerra in Iraq. Ecco le nuove sfide per l'America di Obama

Le sfide di Obama nel 2015

Il 2014 è stato un anno intenso negli Stati Uniti. Sul piano politico, i Repubblicani hanno stravinto alle elezioni midterm e hanno conquistato il Senato, prima in mano ai Democratici. Alla Camera dei Rappresentanti, ora controllano 247 seggi su 435. L’economia è in miglioramento e la disoccupazione è scesa al 6 percento (più bassa del livello pre-crisi), ma il paese si trova ad affrontare sempre più grandi divisioni razziali. Le proteste a seguito delle uccisioni di due uomini neri da parte di poliziotti che non sono stati condannati hanno sconquassato tutte le maggiori città americane. E sul piano internazionale, il presidente Obama si è ritrovato a dover affrontare la crisi dell’Ebola in Africa e l’ascesa dello Stato Islamico in Iraq e Siria. Ma il nuovo anno è alle porte. Quali sono le maggiori sfide che gli Stati Uniti—e Obama—dovranno affrontare nel 2015?

1. Stallo o cooperazione a Washington?

Se prima di novembre il governo americano sembrava bloccato nella morsa del cosiddetto gridlock, la situazione post-elezioni midterm non può che sembrare ancora più paralizzata. I Repubblicani hanno vinto il controllo del Senato e hanno rafforzato la maggioranza nella Camera dei Rappresentati. Con un parlamento del genere, il presidente Obama si trova in assoluta minoranza. L’unico potere che ha è quello di porre un veto alle leggi che provengono dalla Camera e dal Senato, o passare “executive orders”—decreti esecutivi promulgati senza l’approvazione del Congresso, e che sono visti per tale motivo con occhio abbastanza diffidente da molti americani. Con il legislativo in mano ai Repubblicani e l’esecutivo in mano ai Democratici, sembra che la cooperazione a Washington sia un sogno lontano. Ma visto che i Repubblicani non hanno la super maggioranza di 60 seggi al Senato, potrebbero trovarsi a dover proporre leggi pragmatiche, e non estremamente conversatrici, che possono vincere i voti di alcuni Democratici di centro. Obama potrebbe anche voler aprire una nuova linea di dialogo con i Repubblicani, per evitare una situazione di stallo che non porterebbe certo onore alla sua presidenza, che sta ormai svolgendo al termine.

2. È tempo di riformare il sistema dell’immigrazione?

Ci sono 11 milioni di immigrati irregolari negli Stati Uniti. Da anni, a Washington si lavora su una riforma del sistema dell’immigrazione per cercare di regolarizzarli e per creare nuovi tipi di visto per attrarre lavoratori specializzati. Nel 2011, la riforma a cui avevano lavorato Repubblicani e Democratici insieme è passata al Senato, allora in mano ai Democratici. Ma è rimasta bloccata nella Camera dei Repubblicani e lì è morta. Nel frattempo, Obama ha passato due executive orders per cercare di risolvere la situazione aggirando il Congresso. Nel 2012, ha approvato dei permessi di lavoro per i cosiddetti dreamers, ragazzi portati illegalmente negli Stati Uniti dai genitori quando erano piccoli e che sono cresciuti in America, tanto da essere più americani che messicani, ecuadoregni, o colombiani. E lo scorso mese, Obama ha approvato dei permessi di lavoro per gli immigrati irregolari che hanno figli che sono cittadini americani, e ne ha bloccato la deportazione. (Negli Stati Uniti, chiunque nasce sul suolo americano è automaticamente cittadino americano.) I Repubblicani hanno altamente criticato quest’ultimo decreto esecutivo e 24 stati hanno fatto “causa” al presidente perché non vogliono attuarlo. Ma nel 2015, in vista delle elezioni presidenziali del 2016, i Repubblicani in controllo del Congresso potrebbero voler passare la riforma del sistema dell’immigrazione. Il motivo? Il voto degli ispanici è fondamentale per conquistarsi la Casa Bianca—come ha dimostrato l’elezione di Obama nel 2008 e nel 2012.

3. Cosa succederà all’Obamacare?

Sono passati quasi cinque anni dal passaggio dell’Affordable Care Act, la legge ormai conosciuta come Obamacare e che ha rivoluzionato l’intero sistema sanitario nazionale. Fra i maggiori traguardi, l’Obamacare ha posto il divieto alle assicurazioni mediche di rifiutare di coprire un cittadino per via di “condizioni preesistenti”—nel senso di, hai una malformazione genetica del cuore, mi rifiuto di assicurarti; e ha permesso ai ragazzi fino ai 26 anni di rimanere coperti dall’assicurazione dei genitori. I Repubblicani si sono opposti alla riforma del servizio sanitario fin dalla sua approvazione e, da allora, hanno votato più di 50 volte per cancellarla. A ottobre, più di 7 milioni di Americani hanno scelto un’assicurazione medica attraverso l’Obamacare. Ma nel 2015, scatterà la penale per chi non è ancora coperto da assicurazione. La legge, infatti, obbliga gli americani ad essere assicurati e, in breve, fa ricadere sui più ricchi il costo dell’assicurazione per i più poveri. Molti americani considerano questa parte della legge incostituzionale ma, che lo vogliano o meno, saranno costretti ad assicurarsi entro il 2015, se non vogliono pagare una multa. È possibile che il Congresso dei Repubblicani del 2015 elimini l’Obamacare? Secondo alcuni esperti politici, sarebbe pura follia, visto che ormai il sistema è stato cambiato e milioni di americani ricevono i benefici di un sistema sanitario più simile al modello europeo. In breve, è troppo tardi per tornare al punto di partenza.

4. Una nuova guerra in Iraq?

L’ascesa dello Stato Islamico in Iraq e Siria è vista con grandissima preoccupazione negli Stati Uniti. Sia Democratici che Repubblicani sono dell’idea che l’IS vada fermato prima che diventi troppo potente. L’ultima cosa che gli americani vogliono è un altro gruppo terroristico di stampo al Qaeda che abbia la capacità organizzativa e finanziaria di creare un nuovo 11 settembre. Il Congresso ha già approvato l’investimento di 577 miliardi di dollari per operazioni militari e di difesa, che prevedono l’addestramento di truppe irachene e siriane che combattano contro lo Stato Islamico. Per ora Obama—che poteva contare fra le sue maggiori vittorie la fine della guerra in Iraq—ha promesso che i soldati americani non torneranno a combattere in Iraq. È la cosiddetta strategia “no boots on the ground” (nessuno scarpone al suolo). Ci sarà una nuova guerra in Iraq nel 2015? Secondo alcuni esperti, l’intervento di terra è necessario se si vuole davvero fermare l’avanzamento degli estremisti islamici. 5.

Chi saranno i candidati per le presidenziali del 2016?

Alle elezioni presidenziali del 2016 manca ancora più di un anno, ma speculazioni sui candidati Democratici e Repubblicani già abbondano e riempiono le pagine dei giornali. A destra, Jeb Bush, il fratello di George W. Bush, presidente prima di Obama dal 2001 al 2009, ha dichiarato di essere interessato a candidarsi. Jeb Bush ha 61 anni ed è ben visto dall’establishment del partito Repubblicano, ma certi punti deboli potrebbero costargli le primarie interne al partito: prima di tutto, Bush non è favorevole al passaggio di una riforma del sistema dell’immigrazione, il che non aiuta a conquistarsi il voto necessario degli ispanici. In secondo luogo, Jeb Bush è e rimane un Bush, fratello di uno dei presidenti più impopolari nella storia degli Stati Uniti, che ha cominciato una guerra in Iraq che ha recentemente ricevuto una seconda ondata di critiche, dopo l’uscita del rapporto sull’uso della tortura da parte della CIA. Altri candidati Repubblicani sono Chris Christie, l’attuale governatore del New Jersey (recentemente coinvolto in uno scandalo di corruzione) e Marco Rubio (di origine cubana e quindi propenso a vincere i voti degli ispanici). A sinistra, l’unico candidato che sembra avere trazione per ora è Hillary Clinton. La Clinton, 67 anni, ha affermato che annuncerà la sua candidatura (o non candidatura) nel nuovo anno. Molti analisti politici hanno considerato la sua attiva partecipazione alle campagne elettorali democratiche per le elezioni midterm come l’inizio della sua personale campagna elettorale per le presidenziali del 2016. La Clinton perse le primarie nel 2008 contro Obama.

Molti si chiedono se, otto anni dopo, il paese sia pronto ad eleggere il primo presidente donna.

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