Politica estera

Sikh e India: occhio alla trappola per l'Italia

L'Italia è diventata un importante centro per la diaspora sikh. Alcuni però rischiano di esser strumentalizzati da diverse ong che vogliono l'indipendenza

Sikh e India: occhio alla trappola per l'Italia

Qualche settimana fa, mentre il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, tornava dall'India, nel nostro Paese veniva fatto un referendum, senza alcun effetto concreto, per l'indipendenza del Khalistan. E così l'Italia si è trovata, anche solo per un momento, al centro del palcoscenico di una questione politica decennale. Ultimamente, infatti, la questione del Khalistan sembra aver rialzato la testa non solo nel subcontinente indiano ma anche all'estero. Il Sikhs for Justice (SFJ), una no-profit con sede negli Stati Uniti, ha infatti intensificato la sua retorica a livello globale per una secessione del stato del Punjab indiano. Anche in Italia.

Cosa c’entra l’Italia?

L'Italia è diventata un importante centro per la diaspora sikh con oltre 220.000 sikh residenti nel nostro Paese. Molti sono semplici lavoratori agricoli e migranti che si sono integrati molto bene nelle loro comunità locali. Alcuni, invece, rischiano di essere indottrinati da alcune forze che il governo indiano ritiene estremiste. Tra queste, secondo Nuova Delhi, anche il Sfj, che ha condotto diverse operazioni, tra cui alcuni referendum senza alcuna validità - nel Regno Unito e a Ginevra e ora in Italia - durante festival religiosi e celebrazioni comunitarie.

Ma per capire la portata di tutto questo è bene citare un articolo di Limes di un anno fa. In esso si fa riferimenti ad alcuni atti vandalici compiuti contro istituzioni indiane, come l'ambasciata di Roma e quella di Vancouver, e secondo una regia ben precisa. Un fatto passato in sordina ma non da sottovalutare: "Si tratta della punta di un iceberg in larga parte sommerso, che ha ormai da anni radici in Italia e che ha strettissimi legami con il terrorismo di matrice jihadista finanziato e gestito dal Pakistan", scrive Limes. Tutto porta dritto al Khalistan Movement che, nota sempre la rivista di geopolitica, "Non è un gruppo terrorista vero e proprio, ma al terrorismo si sovrappone, spesso sconfinandovi. Nel corso degli ultimi anni ha trovato in Italia terreno fertile e ha inziato, con il sostegno e la benedizione dei servizi pakistani, a essere molto attivo sul territorio. Membri della comunità sikh si uniscono ormai regolarmente ai pakistani che manifestano per “liberare” il Kashmir dall’India. Nessuno dei dimostranti è kashmiro o vagamente indiano; sono quasi tutti pakistani e punjabi, ma poco importa. I rappresentanti della comunità sikh partecipano alle manifestazioni imbracciando cartelli che recitano “Khalistan Kalsa”. Manifestazioni benedette dalla presenza di Lord Nazir Ahmed – tale finché non è stato privato del titolo di Lord per un sordido scandalo di abusi sessuali – che sostiene apertamente il Khalistan e ha lanciato un paio d’anni fa la nuova campagna “Kashmir2Khalistan”".

In particolare, quest'ultima campagna è stata sostenuta anche dal Sfj che, nota con una certa ironia Limes, "non si preoccupa granché dell’indipendenza del Punjab pakistano". Ma non solo. Prosegue sempre la rivista di geopolitica: "Prima dell’epidemia, il coordinatore generale di Sfj Avtar Singh Pannu ha invitato i capi dei gurudwara italiani, strumentalizzando le celebrazioni del 550º anniversario della nascita di Guru Nanak, a reclutare volontari per promuovere il referendum, a diffondere la mappa del Khalistan e ad avviare l’ennesima raccolta fondi. Inoltre, i membri del comitato del Gurudwara Shree Hargobind Sahib a Leno (Brescia) conducevano allo stesso scopo una campagna porta a porta nelle zone di Bergamo e Brescia, come pure il Gurdwara Shaheed Baba Deep Singh a Cremona. Secondo fonti locali, l’Sfj utilizzava dipendenti di origine pakistana e indiana che lavorano in comuni ad alta concentrazione sikh per raccogliere i dati personali di potenziali sostenitori della campagna. Operazione che coinvolgerebbe direttamente alcuni consolati pakistani".

La questione sikh

La confederazione sikh è stata uno degli ultimi regni indiani a cadere in mano agli inglesi nel 1849. Nella sua gloria, sotto Ranjit Singh, aveva la sua capitale a Lahore (oggi in Pakistan) e copriva quasi tutto il Pakistan moderno, nonché l'attuale India settentrionale fino ad includere grandi tratti di Afghanistan. Mentre la religione sikh è stata panindiana e spesso inseparabile dall'Induismo, verso l'indipendenza, negli anni '40, la concentrazione dei sikh aumentò nel Punjab unito, all'epoca la sede tradizionale del vecchio regno sikh. Con la spartizione dell'India e del Pakistan: le due regioni furono divise dagli Inglesi: il Punjab a nord e il Bengala a est, con sikh e hindu in Pakistan costretti a migrare nel Punjab indiano, Himachal Pradesh e Haryana. Una gran parte dei musulmani presente in questi stati si è spostata in Pakistan.

Ancora oggi i sikh hanno diversi luoghi santi in Pakistan ed è stato durante la suddetta partizione che è iniziata la richiesta di un "Khalistan" indipendente, Paese per i Sikh. Ma, a differenza di oggi, il Khalistan degli anni '40 chiedeva un Punjab unito, che ospitava i Punjabi Hindu e Sikh.

Dopo la divisione, i sikh Indiani sono diventati una parte integrante dello Stato moderno indiano, occupando importanti ruoli politici, burocratici, istituzionale e all'interno delle forze armate. Durante l’indipendenza ricordiamo che l’India possedeva più di 600 regni, con un terzo del territorio amministrato direttamente dagli inglesi e due terzi da re, ognuno dei quali con un diverso trattato con il regime coloniale.

Londra ha abbandonato tutto al neo governo Indiano che ha dovuto, anche per sopravivenza e per proteggersi da una guerra aperta, unire un territorio che ospitava tutte le religioni del mondo, 5 popoli distinti, 22 lingue ufficiali (miglialia di dialetti), ed etnie diverse.

La comunità sikh e diventata un importante pilastro del neostato indiano, anche perché in Pakistan, dove oggi si trovano 6mila sikh, non potevano più stare.

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