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Siria, fuoco sui caschi blu. Gli Usa: "Una coalizione per combattere i jihadisti"

Decine di soldati Onu finiscono nel mirino dei guerriglieri vicini ad Al Qaida. L'appello di Kerry: uniamoci contro l'Isis

Siria, fuoco sui caschi blu. Gli Usa: "Una coalizione per combattere i jihadisti"

Mentre Obama ammette di non avere strategie e il suo segretario di Stato John Kerry cerca d'inventarsene una teorizzando sul New York Times la creazione di una vasta, quanto vaga, coalizione internazionale, il jihadismo avanza passo dopo passo. La strategia del terrore dipanatasi dall'Irak alla Siria, dalle Alture del Golan al Libano potrebbe - secondo le fosche previsioni del sovrano saudita Abdallah - culminare entro qualche settimana in una serie di attacchi alle nazioni occidentali. In questa manovra a tenaglia rientra l'offensiva lanciata ieri mattina dai miliziani al qaidisti di Jabat Al Nusra contro le truppe filippine dell'Unfod, la missione Onu responsabile dal 1974 del mantenimento del cessate il fuoco sulle Alture del Golan, l'altipiano conteso da Israele e Siria. La missione quarantennale, sviluppatasi senza incidenti finché si è trattato di dividere israeliani e siriani, sta per venir letteralmente cancellata dagli eventi.

Tutto inizia mercoledì scorso quando i ribelli alqaidisti conquistano le postazioni dell'esercito siriano di Quneitra per poi lanciarsi all'assalto di una postazione Onu tenuta da 44 caschi blu delle Fiji. I disorientati soldatini oceanici, accusati dai ribelli di aver fornito assistenza medica a dei militari siriani feriti, s'arrendono senza sparare un colpo. E scompaiono nel nulla. O meglio si trasformano in ostaggi. La seconda fase dell'offensiva jihadista, rivolta ad assumere il controllo del Golan siriano e ad aprire un nuovo insidiosissimo fronte con Israele, scatta ieri mattina. All'alba i ribelli di Jabat Al Nusra aprono il fuoco contro la postazione Unfod di Rwihana tenuta da 40 soldati di Manila. A differenza dei loro colleghi delle Fiji, i filippini rifiutano di arrendersi e reagiscono ingaggiando il nemico. Mentre scatta l'allarme rosso e le unità israeliane, distanti 400 metri dagli avamposti ribelli, vengono messe in stato di massima allerta una compagnia di Caschi Blu irlandesi «esfiltra» un altro plotone di 32 filippini asserragliati nel campo di Breiqa. La ritirata in territorio israeliano dei filippini e dei loro soccorritori irlandesi, l'incerta sorte dei Caschi Blu delle Fiji, la precaria situazione dei militari di Manila circondati da Jabat Al Nusra sono la cartina di tornasole dell'impotenza e dell'impreparazione della comunità internazionale. Se su un fronte sensibilissimo come le Alture del Golan, dove l'Onu è presente da 40 anni, nessuno ha saputo prevedere le mosse jihadiste basterà la «vasta», ma raffazzonata coalizione auspicata dal segretario di stato Usa Kerry per sconfiggere il fanatismo integralista? La risposta evidentemente è no. In mancanza di un preciso piano politico militare, simile alla «surge» messa in piedi dal generale David Petraeus in Irak nel 2007, sarà impossibile isolare i militanti jihadisti decisi a trasformare Siria, Irak, Sinai e Libano in un'unica grande unità geo strategica.

Per avere qualche possibilità di successo la grande «coalizione» immaginata da Kerry dovrà, prima ancora di metter mano alle armi, avere il coraggio e la forza di aprire un delicato doppio binario negoziale. Da una parte dovrà recuperare la fiducia delle tribù sunnite irachene allineatesi con lo Stato Islamico. Dall'altra dovrà cercare un patto di non belligeranza con l'Iran, il regime siriano di Bashar Assad, i curdi del Pkk e le milizie sciite di Hezbollah. Dovrà, insomma, rassegnarsi a un'intesa con quei «nemici» dell'Occidente che sono però anche i principali nemici del fanatismo jihadista. In alternativa dovrà combattere una guerra su due fronti. Una guerra assai più complessa e difficile di quella guidata tra il 2007 e il 2009 da un generale Petraeus che, pur combattendo sia Al Qaida sia le milizie sciite filo iraniane, si muoveva su un campo di battaglia ristretto al solo territorio iracheno. E dovrà far i conti con un Vladimir Putin sempre pronto a metter all'angolo il presidente Obama e i suoi alleati occidentali.

Come ha già dimostrato con lo scacco matto sulle armi chimiche siriane messo a segno, tra l'altro, quando i rapporti con Washington e i suoi alleati non erano ancora inficiati dalla difficile crisi ucraina.

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