Spalle alla bandiera rossa. La sfida degli studenti che fa infuriare Pechino

La protesta non si ferma neanche durante la festa nazionale cinese. La minaccia: "Se continua, conseguenze impensabili"

Spalle alla bandiera rossa. La sfida degli studenti che fa infuriare Pechino

Il muro contro muro continua, ma Pechino si fa più minacciosa. Anche se le teste più fredde del movimento di protesta stanno facendosi una ragione dell'inutilità dello sforzo per ottenere dal regime cinese un vero e democratico suffragio universale per le elezioni del 2017 a Hong Kong, i leader studenteschi non cedono. Insistono nella loro pretesa che l'attuale capo del governo dell'ex colonia britannica, Chan Ying Leung, si dimetta: l'ultimatum scade a mezzanotte. Altrimenti, minacciano, alzeranno il tiro delle (peraltro fin qui ordinate e pacifiche) manifestazioni e occuperanno la sede del governo e altri importanti edifici governativi.

L'ultimatum è stato ufficializzato in una conferenza stampa indetta davanti al Parlamento dai leader della «rivoluzione degli ombrelli» Lester nel giorno in cui le celebrazioni per la festa nazionale cinese - che coincide con l'anniversario della presa del potere da parte del partito comunista nel 1949 - sono state disertate dalla popolazione di Hong Kong, mentre aumenta il numero delle persone che partecipano e sostengono le proteste di Occupy Central: sono decine di migliaia, in diverse zone della grande città. Non ci vuol molto a comprendere che questa linea rischia di portare a uno scontro fisico con la polizia locale e, quel che è peggio, a fornire alla guarnigione cinese di Hong Kong - forte di circa settemila uomini - un eccellente pretesto per intervenire e magari militarizzare il territorio ribelle.

Lester Shum, vice segretario della Federazione degli studenti di Hong Kong, ha detto che il movimento è pronto ad accettare ogni opportunità di dialogare con il governo centrale di Pechino, ma a condizione che Leung vada via. Il capo del governo locale, che martedì aveva opposto un rifiuto alle richieste dei dimostranti, ieri ha presieduto le celebrazioni della festa nazionale cinese, brindando con lo champagne alla bandiera rossa con le stelle, incurante delle migliaia di dimostranti che fischiavano e voltavano ostentatamente le spalle.

Così facendo, Leung non ha fatto altro che dimostrare la sua assoluta lealtà alle autorità di Pechino che lo hanno installato al suo posto, le stesse autorità che ieri hanno espresso sul quotidiano ufficiale del Partito una linea inequivocabile. «Le assemblee illegali dei cosiddetto Occupy Central stanno creando gravi disturbi all'ordine sociale, all'economia e alla vita quotidiana a Hong Kong - si leggeva nell'editoriale del Quotidiano del Popolo -. Se sarà permesso che continuino, le conseguenze saranno impensabili». Nello stesso editoriale viene chiusa ogni porta alle speranze dei manifestanti, ribadendo che la Cina imporrà che le elezioni del 2017 per il nuovo capo del governo di Hong Kong si svolgano votando solo candidati scelti da una commissione controllata dal partito comunista: un inganno pseudodemocratico, dunque.

Studenti e cittadini comuni mossi da aspirazioni alla libertà sanno di aver contro non solo il monolitico blocco del potere cinese, ma anche l'establishment economico e finanziario di Hong Kong, che ai buoni rapporti con quel potere deve la sua prosperità. E se il tipico cinismo degli imprenditori guarda con fastidio all'idealismo del movimento per la democrazia, gli eventi di Hong Kong preoccupano anche i vicini: il presidente di Taiwan, Ma Ying-jeou, ha espresso «profonda preoccupazione». «Comprendiamo e sosteniamo pienamente la richiesta di Hong Kong per il suffragio universale - ha detto Ma -.

Chiediamo alle autorità della Cina continentale di ascoltare con attenzione le richieste del popolo di Hong Kong e di adottare un approccio pacifico e cauto all'attuale situazione. Allo stesso tempo, spingiamo gli abitanti di Hong Kong ad esprimere i propri punti di vista in modo pacifico e razionale. Non vogliamo assistere a nessun conflitto».

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