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Su Dan: ogni esposizione è sempre universale

"Penso che l'arte e il design debbano concentrarsi sulle persone. Se si rispettano le persone si scopre che la modernità e tutt'altro che sufficiente". Incontriano Su Dan, curatore di tante mostre che hanno aperto l'Italia e la Cina ad un profondo dialogo

Su Dan: ogni esposizione è sempre universale

Su Dan è il vice direttore del China National Arts and Crafts Museum & China Intangible Cultural Heritage Museum nonchè professore dell’Academy of Arts & Design della Tsinghua University. Da tempo ormai viaggia tra la Cina e l’Italia per la sua funzione di curatore di eventi espositivi. Inizio’ dal Salone Internazionale del Mobile di Milano nel 2006, e da allora l’Italia, il paese dell’arte, non l’ha mai abbandonata. Negli ultimi 15 anni il professor Su Dan ha curato, in Cina e in Italia, una serie di mostre di grande significato, come Community and Individual, Endless Feast (sulla cultura culinaria della Cina), City Jungle, Social Forest (in collaborazione conla Domus Academy di Milano e la Nuova Accademia delle Belle Arti Milano - NABA), Noosphere XXI: A Mobile and Evolving School (all’interno della Triennale di Milano), Design Utopia 1880-1980: 100 Years of Design History e Biagetti-Koeing Collection (in collaborazione con il Qinghua University Art Museum). Nel 2015 ha ricevuto l’incarico di responsabile generale per il design del Padiglione cinese nell’Expo di Milano e nel 2019 è stato curatore generale del Padiglione cinese nella 22esima Biennale di Milano. In questo 2022, celebrativo della Cultura e del Turismo tra Cina e Italia, per omaggiare i grandi contributi da lui offerti nel campo della cultura e dell’arte dei due Paesi, il governo italiano lo ha insignito dell’onorificenza dell’Ordine della Stella d’Italia.

La sua grande avventura con l’Italia parte con una mostra, siamo nel 2006. Che cosa successe?

Su Dan: Inizia tutto al Salone Internazionale del Mobile di Milano, nel cosiddetto SaloneSatellite, dove portai i miei studenti della facoltà delle Arti Ambientali dell’Academy of Arts & Design della Tsinghua University. Il SaloneSatellite è una sezione che il Salone Internazionale del Mobile dedica all’istruzione, un evento culturale unico durante il quale professori e studenti delle facoltà di design e arte di prestigiose università mondiali si riuniscono, nel mese di aprile, e ricevono consensi e riconoscimenti da parte di professionisti e cittadini italiani. Milano è una città cosmopolita, una sola apparizione non è suffciente... bisogna tornarci diverse volte. A quel tempo il Salone aveva una regola: una scuola poteva presentarsi solo una volta. Ma noi eravamo ben preparati e siamo riusciti a partecipare per tre anni consecutivi. In occasione della cerimonia di apertura invitammo illustri nomi del design italiano quali Andrea Branzi ed Alessandro Mendini, che ci assegnarono ottime valutazioni...

Negli anni a seguire lei ha progettato eventi di grande fama, dalle mostre di design a quelle d’arte. Quali sono stati per lei i più rappresentativi?

Su Dan: Realizzammo una volta una mostra mobile, digitale e in realtà virtuale e andammo a Milano portando delle “scatole” all’interno delle quali avevamo posizionato il nostro materiale espositivo che riguardava la pianificazione urbanistica di Milano. Fu tutto molto ben preparato e il riscontro lo vedemmo dall’interesse mostrato dei visitatori. Poi tutte le proposte che che avevamo offerto alla mostra si sono realmente concretizzate, lasciando tutti piacevolmente sorpresi. Poi citerei la mostra Endless Feast, allestita nel 2015 accanto al Duomo. In Cina l’esperto gourmet cinese Huang Ke è un personaggio leggendario che nell’arco di 10 anni ha invitato a casa sua per cena 150 mila persone! A Milano abbiamo riproposto i suoi banchetti cinesi, esponendo i servizi da tavola tradizionali, le ricette, i video e le foto. Endless Feast catturò l’attenzione dei turisti di passaggio provenienti da ogni paese, interessati a questi elementi cinesi che consideravano unici e originali. Nel 2016 in occasione della Triennale di Milano abbiamo allestito una mostra sul futuro dell’istruzione e sulla comunità del futuro, Noosphere XX1: A Mobile and Evolving School, che parte dalla riflessione sul concetto di noosfera, come una scuola artistica attuale e in evoluzione. Collaborando con esperti, istituzioni e aziende abbiamo provato a combinare diversi modelli di educazione, per esplorare il maggior numero possibile di modelli educativi innovativi, per l’istruzione del futuro.

Nella sua attività di curatore, come racconta la Cina ad un osservatore occidentale?

Su Dan: la cultura tradizionale cinese e la storia della Cina fanno parte del quadro narrativo del mondo. Spero di trasmettere a tutti la passione, la curiosità e il desiderio di conoscenza attraverso mezzi efficaci. Durante un’esposizione, l’organizzazione espositiva conta molto e la forma ne è il risultato finale. Gli artisti cinesi e italiani provengono da due mondi diversi di pensiero: gli artisti italiani sono più critici e chiedono sempre a se stessi: “chi sono io?” Invece gli artisti cinesi sono più emotivi. Tuttavia, le persone di entrambi i Paesi sono piene di entusiasmo, inoltre sono ospitali, amano la buona tavola e danno valore alla famiglia. Tutti i familiari si riuniscono sempre per mangiare insieme.

Infatti sia i cinesi che gli italiani danno molta importanza al concetto di famiglia...

Su Dan: E giustamente l’Italia è chiamata “la Cina d’Europa”... Nella Triennale di Milano del 2019 abbiamo realizzato la mostra China, Environmental Consciousness in Design, in occasione della quale è stata esposta l’opera fotografica My Relatives and Friends. L’autore, Li Haibing, ha riordinato centinaia di migliaia di sue foto sul tema “famiglia”; un fascio di luce proiettato sul muro cercava di trasmettere al visitatore un senso di nostalgia per il passato e quindi di attaccamento alla famiglia. Tanti italiani si sono realmente commossi durante la visita... proprio per quei profondi valori familiari che li accomunano ai cinesi. In effetti, nel primo progetto di esposizione in Italia avevamo pensato di proporre il tema del ricostruire il concetto di famiglia e trasmetterlo alle società. Anche se l’occidente tende a promuovere l’individualismo, la società umana non può essere costruita senza l’unità armoniosa e accogliente della famiglia.

Parliamo ora delle percezioni cinese e occidentale dello “spazio”, di quanto esse divergano e di come le sue mostre aiutino il visitatore a capire meglio lo spazio e la relazione tra le persone e lo spazio.

Su Dan: Il lavoro del curatore si concentra sulla narrazione e sulla rielaborazione. Prima di tutto bisogna identificarsi con il concetto dello spazio, che rappresenta una componente narrativa e ha un proprio linguaggio e vocabolario. In condizioni spaziali prestabilite è possibile rimodellarlo per riuscire a portare i visitatori ad adattarsi ai cambiamenti dello spazio e del contenuto durante la loro visita. Facendo un paragone, è come l’estetica narrativa di una musica di Ennio Morricone, dove il senso di solitudine e di disorientamento del pianista nel film The Legend of 1900 si materializza attraverso una narrazione musicale. Carlo Scarpa è un architetto-designer modernista italiano che eccelle nell’uso dello spazio per la narrazione. Anni fa mi trovai per caso nel complesso funebre monumentale Brion, progettato da Scarpa e vi ho trovato la stessa forza di narrazione spaziale. Quando ho messo piede per la prima volta nel Brion, ci sono volute tre ore per visitarlo, ho visto la vita e la morte, ho visto anche l’incontro fra i morti e i vivi ed è stato molto emozionante. Dal Brion ho tratto ispirazione per la mostra A Documenta Celebrating Liang Sicheng’s 120th Anniversary. Le cose da esporre erano tante, ma lo spazio espositivo non era suciente e ho deciso così di utilizzare l’idea della struttura di un cimitero. I visitatori, accorsi come per rendergli omaggio, non hanno provato la sensazione di sovraffollamento, traspariva dalla mostra un senso di commemorazione, sia nel concreto che nell’astratto. Le persone che visitavano la mostra, si chinavano per leggere i testi, come leggessero iscrizioni sulle lapidi.

Prima di quest’ultima mostra lei ne ha anche curato un’altra legata direttamente all’Italia: 100 years of Design History. The Biagetti-Koenig Collection per il Tsinghua University Arte Museum.

Su Dan: il nome completo è Design Utopia 1880- 1980: 100 Years of Design History. The Biagetti- Koenig Collection. E’ infatti una narrazione molto completa e rappresentativa, tutti i capolavori ospitati venivano dalla collezione italiana Biagetti-Koenig che ci racconta una serie di storie sul design mondiale dal 1880 al 1980. Si trattava di usare oggetti per raccontare la storia del design, delle persone che ci sono dietro, della produzione industriale, delle città, del processo di globalizzazione. L’utopia mira a risolvere la questione della felicità degli esseri umani e il modernismo è qui una parola chiave importante. Le rappresentazioni del modernismo dei primi anni hanno subito le battute d’arresto e l’introspezione del periodo successivo alla I e II Guerra Mondiale. Dopo il post-modernismo, che si è concentrato maggiormente sull’individuo e sul rispetto reciproco tra le diversità, le persone sembravano essere diventate un concetto astratto, statico. Il design italiano sorge proprio a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, esercitando una profonda influenza globale.

Tornando al concetto di spazio, quali sono gli spazi di Pechino che Le piacciono di più?

Su Dan: Tra i siti storici preferisco il Tempio del Cielo perché racconta il rapporto tra Cielo, Terra e Uomo. La sua narrazione spaziale è tale che, quando entriamo in questo spazio, attraversando due cortili, riusciamo a vedere il complesso di livello più alto, a cui la gente deve guardare con senso di rispetto e soggezione. È inoltre presente una estesa area verde, simbolica e altamente spirituale. L’Inside-Out Art Building è un altro luogo che amo tanto: si tratta del mio studio artistico a Pechino, nel quale mi trovo da solo da dieci anni, ed è molto importante per me: qui mi godo il ritiro e riesco a vivere un intero mondo tutto mio, immerso nei miei pensieri, dialogando con me stesso e acquisendo gradualmente una sempre
più profonda conoscenza della mia persona. Amo passeggiare per le strade strette e nei quartieri non moderni di Beijing e porto sempre mio figlio a mangiare tra le bancarelle nel Villaggio Heita. Questi luoghi sono pieni di vita e di energia: gli uomini siedono intorno alla tavola per mangiare con il dorso scoperto, le galline dormono nelle gabbie e i gatti corrono sui tetti delle case. Qui brulicano le persone che sono arrivate da poco tempo a Beijing e dappertutto si può sentire il calore umano.

Finiamo sulle idee per il futuro. Ci anticipi quali elementi della Cina vorrebbe proporre al pubblico italiano se le venisse chiesto di progettare una nuova mostra.

Su Dan: Vorrei fare mostre a tema gastronomico! Ad esempio mostrando come un ottimo chef cinese sceglie i condimenti, gli ingredienti e come si costruisce il rapporto con i commensali. Ricordo una piccola storia, quella di un uomo che festeggia il suo compleanno e uno chef stellato gli dice: “lascia che ti prepari gli spaghetti in brodo come faceva
tua madre”. Inizia così a replicare la ricetta, con gli stessi ingredienti che utilizzava la mamma, eguagliando in tutto e per tutto il sapore del piatto che il cliente mangiava da bambino. Quest’uomo assapora la pietanza, e ha le lacrime agli occhi. Penso che l’arte e il design debbano concentrarsi sulle persone. Se si rispettano le persone, si scopre che la modernità è tutt’altro che sufficiente. Un buon livello di organizzazione espositiva si raggiunge con la presentazione dei materiali, ma lo spettatore poi li mette in ordine seguendo la propria, intima logica.

I risultati finali di ogni mostra potrebbero essere infiniti, ciascuno di noi è un decodificatore e quando si visita una mostra ogni decodifica segue il proprio processo.

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