Trump parla all'Onu e tuona contro l'Iran, ma l'Assemblea gli ride in faccia

Il presidente degli Stati Uniti ha parlato di fronte all'Assemblea generale dei risultati ottenuti dalla sua amministrazione. Ma l'accoglienza non è stata delle migliori

Trump parla all'Onu e tuona contro l'Iran, ma l'Assemblea gli ride in faccia

"Oggi sono davanti all'Assemblea generale delle Nazioni unite per condividere il progresso straordinario che abbiamo fatto. In meno di due anni la mia amministrazione ha raggiunto più di quasi nessun'altra amministrazione nella storia del nostro Paese", e scatta una risata collettiva per tutta l'Assemblea Generale. Inizia così il discorso di Donald Trump alle Nazioni Unte.

Ed è il primo segnale che qualcosa si è definitivamente spezzato fra la Casa Bianca e le nazioni rappresentate nel Palazzo di Vetro. "Non mi aspettavo questa reazione ma va bene lo stesso" chiude Trump commentando le risatine degli altri leader. Ma è chiaro che l'immagine pesa eccome sul discorso del presidente degli Stati Uniti.

Superato il momento di imbarazzo, Trump riprende il suo discorso. Ed è un elenco di tutti i punti chiave della sua politica estera, incentrata su Corea del Nord, Siria, Iran e guerra commerciale.

Sul fronte coreano, il presidente Usa ha ringraziato Kim Jong-un per i progressi compiuti fino a questo momento. Il titolare della Casa Bianca ha dichiarato che negli ultimi mesi, "i test nucleari sono stati fermati, gli ostaggi sono stati rilasciati e i missili non volano più dalla Corea del Nord al confine con la Corea del Sud". Tutti segnali per cui il presidente Usa si ritiene ampiamente soddisfatto e di cui ringrazia non solo Pyongyang ma anche i governi che hanno reso possibile l'accordo con la Nordcorea e in cui non è stata menzionata la Russia.

Dalle parole concilianti nei confronti della Corea del Nord, verso cui il presidente Usa ribadisce, nonostante tutto, il mantenimento delle sanzioni fino alla completa denuclearizzazione, si passa all'Iran. E qui i toni diventano durissimi.

Trump non ha usato mezzi termini nei confronti del governo iraniano. E sembra essere tornati nelle fasi più calde dello scontro fra Teheran e Washington. Secondo il leader americano, quello che è al potere in Iran è un "regime brutale e sanguinario". "I suoi leader saccheggiano risorse del loro paese per diffondere caos in tutto il Medio Oriente" ha detto Trump all'Assemblea generale. E pur confermando la volontà di aiutare il popolo iraniano, il presidente Usa di fatto continua ad avallare l'ipotesi di un regime change, pure se i vertici del Pentagono e del Dipartimento di Stato tendono a smentire questa eventualità.

Ma se Trump difende, a suo dire, il popolo dell'Iran, dall'altro lato annuncia anche nuove sanzioni "se la situazione non migliorerà". Sanzioni che per Trump sono indirizzate a colpire il potere iraniano, ma che di fatto costringono l'intero Paese in una spirale di crisi economica e sociale e, di conseguenza, politica. Una pressione che rischia di portare al collasso il sistema.

Quella di Teheran, ha aggiunto Trump, è una "dittatura che ha utilizzato questi fondi per compiere omicidi e massacri in Siria e Yemen. Gli Stati Uniti hanno portato avanti una campagna per negare fondi all'Iran. Non possiamo permettere a Paesi del mondo di sponsorizzare il terrorismo, né permettere a un regime che ha minacciato morte gli Stati Uniti e Israele di avere i mezzi per costruire testate nucleari in grado di distruggere il mondo". Parole che sembrano negare qualsiasi possibilità di accordo con Teheran. Ma non bisogna dimenticare anche l'escalation verbale avuta con la Corea del Nord prima che si raggiungesse il patto di Singapore.

E per quanto riguarda il Medio Oriente, e quindi anche l'Iran, interessante anche il passaggio sulla guerra in Siria. Il presidente Usa ha ribadito che gli Stati Uniti continueranno a combattere "per risolvere il conflitto in Siria, che mi spezza il cuore. Chiediamo alle Nazioni unite di guidare e rinvigorire il processo di pace", che porti a una "soluzione politica". E ha riconfermato la volontà americana di bombardare l'esercito siriano in caso di utilizzo di armi chimiche.

Una guerra in cui sono coinvolti anche i Paesi arabi, a cui Trump tende di nuovo la mano, dicendo che si sono impegnati a livello finanziario per la popolazione siriana. Dichiarazioni che, alla luce dei legami delle monarchie del Golfo con le milizie islamiste che hanno imperversato in Siria, lasciano decisamente perplessi.

Ma del resto questo discorso è il simbolo della politica estera della presidenza americana. E l'attuale amministrazione ha da subito reso evidente che il suo legame con i regni del Golfo Persico è più che solido. L'assedio all'Iran ne è la dimostrazione più chiara.

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