Chi sono gli uomini di Putin? Il presidente della Federazione Russa che si è reso zar e ambisce posare, forse come ultimo desiderio prima di lasciare il Cremlino, la prima pietra della riedificazione di un impero post-sovietico.
L'ex agente del Kgb, al secolo scorso il Comitato per la Sicurezza dello Stato, ossia i servizi segreti interni all'Unione Sovietica, poi vertice dell'Fsb (attuale servizio segreto russo per gli affari interni, ndr), Vladimir Vladimirovič Putin, fin dal suo oscuro insediamento si è circondato di una cricca di fedelissimi. Un entourage di ex agente del Kgb e oligarchi cui deve la garanzia della sua sicurezza e del suo potere, che nel passato recente ha rasentato il semi-assolutismo, e a cui loro devono la loro sproporzionata ricchezza. Quella stessa ricchezza che oggi viene intaccata dalle contromisure dissuasive del nuovo/vecchio modo di fare la guerra dell’Euroccidente, e che tutti sperano possa pesare sulle loro tasche al punto di fermare l’espansionismo di Mosca.
Cuore sovietico e passioni occidentali, i fidati dello zar, coloro che eseguono i suoi ordini, che negoziano e fanno affari a suo nome, sono ex agenti segreti che hanno saputo farsi spazio nella libera impresa un minuto dopo la fine della perestrojka, all’inizio di quella che chiamarono "terapia choc" dell’economia russa. Amici fedelissimi, compagni d'armi, compagni di judo, ma anche politici della nuova era, giornalisti, esperti di comunicazione, e ovviamente, vertici delle Forze armate che detengono i famosi codici delle armi nucleari. Da digitare nelle loro spietate valigette nere.
Alcuni di loro, come i rampolli della Repubblica popolare cinese, e come lo stesso grande leader della Corea del Nord Kim Jong-un, hanno studiato e mandano a studiare i loro figli in Occidente, nelle migliori università britanniche e della Ivy League statunitense. Le stesse che formano i politici che siedono al Congresso degli Stati Uniti, nella Casa Bianca, all’Eliseo. Ma non scelgono queste istruzioni in virtù del vecchio adagio “Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura" del riesumato Sun Ztu. Le scelgono perché i delfini della nuova Russia possono e hanno potuto permettersi il “meglio", a differenza dei loro costretti e controllati ascendenti sovietici. E il meglio, sia nella formazione accademica sia nel tempo libero, si trova ancora a ovest della vecchia cortina di ferro in via di restaurazione. Non è un caso infatti, se la proposta di essere eletto "presidente" della Federazione Russa, Putin la riceve propio in un tranquillo pomeriggio d'estate a Biarritz, sofisticata località balneare francese dove lo raggiunse in jet l'oligarca tradito Boris Berezovskij.
Una vera e propria nomenclatura, scrive Milena Gabanelli sul Corriere della Sera. Che prende forma attraverso i commilitoni che hanno servito con lui nel Kgb, come Nikolay Tokarev, vertice della società statale Transnef, che gestisce oltre 70mila chilometri di gasdotti e oleodotti, e dalla quale passa il 90% del petrolio russo; Igor Panarin, consigliere particolare ed artefice dell’asse politico-economico con Pechino, e Sergei Chemezov, ceo della holding statale Rostec, fondata dallo stesso Putin nel 2007 e specializzata nel consolidamento di aziende strategiche, con una particolare propensione al settore della difesa e dell'hi-tech. A questi, si aggiungono il fondatore dell'agenzia di sicurezza privata Wagner, ossia colui che comanda le brigate di mercenari di Mosca, Yevgeny Prigozhin; Sergei Roldugin, miglior amico dello zar noto alle cronache per essere un businessman con due passioni: il violoncello e i conti off-shore dove tiene al sicuro il portafoglio di Putin; e i fratelli Rosenberg, Boris e Arkady, judoka e imprenditori del gas.
Poi vengono i politici di grande esperienza, anch'essi devoti e fidatissimi. Come ministro degli Esteri Sergej Lavrov, negoziatore per la Russia nelle questioni più delicate, come l'annessione della Crimea. Il portavoce dello zar, Dimitry Peskov. Il presidente della commissione esteri della Duma, Leonid Slutsky. Tutti e tre, vantano patrimoni da capo giro all'estero, amicizie altolocate tra notabili e di principi, come Alberto di Monaco, e amanti o ex mogli facoltose che gestiscono patrimoni immobiliari e seguono la formazione dei figli in rinomati collegi svizzeri.
Le armi del Cremlino invece, non sono affidate esclusivamente ai militari di alto rango come Sergey Shoigu e Valery Gerasimov, rispettivamente ministro della Difesa e capo dello Stato Maggiore - gli uomini che posseggono i codici nucleari e gli unici che potrebbero eseguire l'ordine di Putin -, ma anche agli esperti di comunicazione. Giornalisti televisivi come Vladimir Soloviev, che ha gestito sempre la propaganda di Putin come un moderno Goebbels, anche dalle sue magioni in riva al lago di Como; e la sua consigliera Margarita Simonyan, anch'essa giornalista, direttrice di Russia Today. Entrambi hanno ricevuto la loro una raffinazione culturale in paesi anglosassoni.
La grande contraddizione in questa nuova fase della Guerra Fredda - a differenza della vecchia, come l'abbiamo studiata - è proprio nel rapporto che lega l’Occidente e quel Vicino Oriente russo; che hanno iniziato a scambiarsi, ad appena pochi anni dalla caduta del muro di Berlino e poi dell'Urss interno, ricchezze, risorse, menti ed encomi. La nomenclatura russa che oggi siede a corte dello zar Putin e sostiene la crociata ortodossa in Ucraina; quella pronta a disprezzare l’Occidente che voleva portare la minaccia della Nato fino ai campi di grano del giardino di casa di Mosca, ha studiato nei college americani, ha stabilito i suoi interessi nelle banche svizzere, ha comprato case di famiglia, ville per le vacanze, attici da sogno per le amanti, in Europa e nei suoi vecchi ed esotici domini coloniali. Gli stessi dove l'estate spiccano i profili titanici dei loro yacht da almanacco dei record. Quelli che vengono fotografati come mostri marini nel nostro bel Mar Mediterraneo.
Le élites occidentali hanno saputo imparare ad apprezzarli, conferendo loro onorificenze, lauree ad honorem e posizioni di rilievo nelle maggiori società.
Forse è per questo nuovo legame, che si appellano al loro buon senso: sperano che tutti gli uomini di Putin possano convincerlo insieme a fermare la guerra in Ucraina per non dover rinunciare a ciò che hanno ottenuto. È un modo di riflettere molto occidentale. Per adesso l’unico. Ci auguriamo sia la strategia giusta. E che il loro cuore sia meno "imperialista" di quanto non vorremmo scoprire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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