Con il passare del tempo e con l'avvicinarsi del possibile annuncio di una candidatura alla Casa Bianca, Hillary Clinton manovra con sapienza e prende con prudenza le distanze dalla politica estera del presidente americano Barack Obama, la cui popolarità è sempre più in calo. I primi segnali di questa tendenza sono contenuti nell'autobiografia pubblicata a giugno - «Hard Choices» - ed emergono con maggiore chiarezza nell'intervista da poco rilasciata dall'ex segretario di Stato a Jeffrey Goldberg sull' Atlantic . Di ritorno da una visita in Asia, Obama ha recentemente ceduto alle semplificazioni e racchiuso in un concetto approssimativo il suo approccio alla politica estera: «Non fare cazzate». Non è abbastanza per Clinton, che nell'intervista lascia trapelare il suo scetticismo verso la dottrina dell'Amministrazione, considerata troppo cauta: «Alle grandi nazioni occorrono principi organizzatori e non fare stupidate non è un principio organizzatore», ha sentenziato. Nonostante sia stata il capo della diplomazia di Obama - che non critica mai apertamente - oggi a distanza di qualche anno l'ex segretario di Stato rivela che avrebbe agito diversamente dall'Amministrazione in più di un'occasione.
SIRIA
Sulla Siria, Hillary non è mai stata d'accordo con Obama. «Pensavo, ed è per questo che l'ho sostenuto, che se avessimo attentamente vagliato, addestrato ed equipaggiato in un primo momento un gruppo centrale di quell'Esercito libero siriano che si stava formando, avremmo in primo luogo avuto una migliore idea di quello che accadeva sul campo. In secondo luogo, avremmo aiutato a formarsi una credibile opposizione politica». Il presidente, in un'intervista al New York Times l'8 agosto ha invece detto: «Quest'idea che avremmo potuto fornire armi leggere o anche materiale più sofisticato a quella che era essenzialmente un'opposizione composta da ex medici, agricoltori, farmacisti e così via, e che loro avrebbero saputo combattere non soltanto contro uno Stato ben armato ma anche ben addestrato e sostenuto dalla Russia, dall'Iran e da un Hezbollah reso più robusto dalle battaglie, non avrebbe potuto avverarsi».
IRAK
All' Atlantic , Clinton dice che «il fallimento nell'aiutare a costruire una forza combattente credibile tra le persone all'origine della protesta contro Assad... ha creato un enorme vuoto, che ora è stato colmato dai jihadisti», sconfinati anche in Irak. «La situazione non sarebbe migliore se avessimo armato i ribelli laici in Siria all'inizio o tenuto le truppe in Irak?», ha domandato Friedman a Obama. Per il presidente, una residua forza statunitense non sarebbe servita se la maggioranza sciita al governo non avesse «buttato via l'opportunità» di condividere il potere con le minoranze. Clinton quando era segretario di Stato aveva fatto pressioni affinché in Irak rimanesse un contingente americano.
IRAN
Anche sulla questione del nucleare iraniano Hillary sembra più intransigente dei negoziatori americani che in questi mesi hanno chiesto importanti limitazioni sull'arricchimento dell'uranio a Teheran. «Sono sempre stata nel campo di chi crede che non abbiano diritto all'arricchimento. Contrariamente alle loro pretese, non esiste nulla che si chiami diritto all'arricchimento».
QUESTIONE PALESTINESE
Sul conflitto israelo-palestinese, Clinton, a differenza di una parte dell'Amministrazione, si oppose a un completo congelamento delle costruzioni di insediamenti israeliani in territorio palestinese come precondizione all'avvio di colloqui diretti tra le parti.
Nell'interivsta dice: «Se fossi il premier israeliano, certo che mi aspetterei di avere il controllo della sicurezza (in Cisgiordania) perché anche se ho a che fare con Abbas, che ha 79 anni... questo non protegge Israele dall'influsso di Hamas».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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