Nelle stesse ore in cui Harvey Weinstein viene formalmente incriminato dal Grand Jury di New York per stupro e abusi sessuali, dopo essersi consegnato spontaneamente venerdì scorso, nel dibattito pubblico su molestie e violenze sessuali arrivano le riflessioni choc della «sacerdotessa della liberazione sessuale» Germaine Greer. Considerata un pilastro del pensiero neo-femminista degli anni Settanta, la scrittrice e accademica australiana (trapiantata in Gran Bretagna) oggi torna protagonista delle polemiche chiedendo un cambio di passo, di carattere filosofico e giuridico, sulla natura dei reati sessuali. E invoca pene meno severe per gli stupratori, in cambio della piena fiducia nei confronti delle donne che denunciano. Mentre in ogni angolo del pianeta si alza la voce di chi chiede misure più dure contro aggressori e predatori sessuali, Greer suggerisce addirittura che uno stupratore possa chiudere la sua partita con la giustizia con una condanna a duecento ore di lavori socialmente utili oppure con un tatuaggio (indeledibile), una «R» per «raper» (stupratore) da incidere sulla mano, su un braccio o una guancia.
Settantanove anni, alle spalle uno stupro all'età di 18, Greer non è nuova a polemiche sui temi legati alla sessualità. Nel 2015 finì nella bufera per aver dipinto le transessuali come «orribili parodie» delle donne e qualche mese fa ha disgustato il movimento anti-molestie #metoo definendolo «lagnoso» e alcune sue protagoniste «stuprate in carriera». Entrata nella storia del movimento femmminista con il suo L'Eunuco Femmina, caposaldo della rivoluzione sessuale in cui nel 1970 denunciò la «castrazione» delle donne costrette a rispondere a un modello maschile di femminilità e a rinunciare al proprio piacere sessuale, secondo la Greer lo stupro non è necessariamente «un crimine violento» ma sarebbe di fatto un crimine «pigro, incurante, insensibile». «Voglio capovolgere il discorso sulle violenze sessuali. Non andiamo da nessuna parte se lo guardiamo con le lenti della Storia», ha detto all'Hay Festival, l'appuntamento letterario in Galles che Bill Clinton definì la «Woodstock delle menti» e dove ha colto l'occasione per presentare il nuovo libro On Rape. La Green si prende la briga di liquidare come «cazzate» le considerazioni di chi - e cita il regista Quentin Tarantino - «è convinto che quando si usa la parola stupro si parli per forza di violenza». «La maggior parte degli stupri non contempla alcun ferimento. Qualche stupro include la violenza ma invece di pensarlo come un crimine spettacolare nella sua brutalità - spiega l'ex docente di Warwick ribaltando il senso comune - immaginatelo come un crimine dove non c'è consenso. Si tratta di pessimo sesso, sesso in cui non c'è comunicazione, tenerezza e riferimento all'amore». E qui arriva al punto. Greer è convinta che molti processi per abusi sessuali finiscano in un nulla di fatto perché stabilire il consenso è cosa complessa. Ecco perché propone una soluzione baratto: considerare le accuse delle donne come prove, senza che debbano essere accertate, ma poi ridurre le pene per gli stupratori. Tesi provocatorie ed estreme, che l'intellettuale sa finiranno in un ciclone di critiche: «Sento le femministe urlare che sto trivializzando lo stupro». Ma alla fine insiste sull'invito alle donne ad uscire dal vittimismo: «Un uomo non può uccidervi con il suo pene». Quel che accade, secondo lei, è il frutto di uno sbilanciamento nei rapporti fra i sessi: «Le donne amano gli uomini più di quanto gli uomini amino le donne».
Una lettura meno estrema di quella che forniva negli anni '70, quando scriveva che «gli uomini sono i nemici e tra i sessi è in corso una guerra». Come finirà quella sul caso Weinstein? «Sarà soprattutto la vittoria degli avvocati: distruggeranno i testimoni». Intanto lei getta nuovo esplosivo nel dibattito pubblico sul #metoo.
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