Monferino: «Ecco la fase due di Iveco»

nostro inviato a Torino

Iveco, la divisione di Fiat Group che produce camion e furgoni, si prepara a mettere in atto la seconda parte del piano di espansione nel mondo. Creata in Cina una struttura che, grazie alle joint venture locali, nei prossimi due-tre anni porterà alla produzione di 150mila veicoli dai 94.270 del 2007, ora la società guidata da Paolo Monferino guarda a Stati Uniti, Russia, America Latina e Sud Africa. E proprio la Russia potrebbe presto diventare un’altra importante base strategica. Monferino, 60 anni, è il manager più anziano alla corte di Marchionne. Ha seguito negli anni ’90 il delicato processo di integrazione tra Case e New Holland; il suo nome spunta tutte le volte che si parla di rimescolamenti importanti tra i vertici del Lingotto. «Dico solo - risponde in proposito l’ad di Iveco - che sono un buon soldato sabaudo di casa Fiat, pronto a seguire gli ordini fino a quando andrò in pensione».
Ingegnere, Iveco si sente più preda o predatore?
«Ci sentiamo dei grandi attori internazionali. Non mi sento preda. Non ho questa sindrome».
Come risponderete alle nozze tra Volkswagen, Man e Scania?
«Ho sempre detto di essere un fautore di quella operazione: se i tre soggetti si fondessero, nei prossimi due o tre anni noi avremo una finestra di opportunità da cogliere grazie a qualche inevitabile debolezza che il nuovo gruppo paleserà».
Dopo il divorzio da Ashok Leyland, ora dialogate con Tata che è a sua volta proprietaria dei furgoni Daewoo. Cosa accadrà?
«Tata ha acquisito la casa coreana puntando alle sue tecnologie. Adesso il gruppo indiano pensa di disporre del know-how necessario per portare a termine i propri piani di sviluppo».
Cosa farete con Tata?
«Stiamo valutando accordi in America Latina, Sud Africa e Sudest asiatico per lo sviluppo congiunto di furgoni e Tir. Da parte indiana c’è stata una battuta d’arresto coincisa con la chiusura dell’acquisizione di Jaguar e Land Rover. Presto, però, ripartirà il dialogo».
Se Tata volesse cedere una quota delle attività nei furgoni per finanziare lo sviluppo di Jaguar e Land Rover ne approfittereste?
«Non credo che Tata abbia questi problemi. Se però avessero bisogno di supporto gli ottimi rapporti con Fiat Group sarebbero per loro importanti».
Passiamo alla Russia, Samotlor affiancherà Iveco anche nei camion pesanti?
«Il gruppo ha una modesta esperienza nei veicoli medi e pesanti. Non credo possa essere un nostro partner nei Tir».
State quindi cercando un altro alleato a Mosca?
«Ci sono molte opzioni. Ci possiamo sviluppare dal punto di vista industriale con le nostre forze e siamo in grado di creare una rete distributiva da zero. Altre soluzioni riguardano partnership con aziende locali che assemblano veicoli per conto di gruppi occidentali. Ci sono più opzioni, anche con Severstal che è partner di Fiat».
In Serbia Iveco detiene il 33% di Zastava Kamioni che produce il Daily. Potenzierete questo asse?
«Per Iveco si tratta di una chance importante».
Cnh, a fronte di una domanda molto forte, ha raggiunto picchi di saturazione che hanno generato inefficienze e ripercussioni sulla redditività operativa. Anche Iveco potrebbe incorrere in questo rischio?
«Oggi Iveco è quasi al massimo come utilizzo della capacità produttiva. Se il mercato continuasse a salire in modo così forte anche nei prossimi anni, la nostra capacità produttiva potrebbe risentirne. Abbiamo, però, aree nel mondo che potrebbero compensare questo problema. Pensiamo, per esempio, all’utilizzo per certa componentistica delle nostre joint cinesi. Zastava, inoltre, potrebbe rappresentare un’opzione di capacità gia installata da prendere in considerazione».


Sergio Marchionne ha sottolineato la necessità per Fiat di una fabbrica negli Usa. È ipotizzabile un impianto congiunto?
«Iveco è sempre disponibile a cogliere tutte le sinergie che il gruppo può offrire. Si gioca per una squadra sola: Fiat Group».

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