
La forza di Paul Cézanne (Aix-en-Provence, 1839 Aix-en-Provence, 1906) è di non fermarsi alla dimensione meramente impressionistica, ai fenomeni, ma di far sentire che dentro la natura c'è una struttura solida, geometrica, che non soggiace al flusso temporale. Non è Dio, non è più il Dio nel senso cristiano e creazionista del termine, è l'impersonale Dio di Spinoza, di cui la pittura è stata una anticipazione, almeno dalla Tempesta di Giorgione e da Giovanni Bellini.
Questo tema, così caratterizzante della filosofia di Spinoza, è utile per intendere sia la rappresentazione non metafisica della Tempesta di Giorgione, sia la rappresentazione non metafisica di Mont Sainte-Victoire di Paul Cézanne.
Ma se in Giorgione questa idea di natura si condensa in un'opera sola, fatale e fulminante, in Cézanne si distende in una teoria di dipinti che sono una ricerca ossessiva di questo noumeno al di là dei fenomeni. Cézanne continua a riprodurre, come in una meditazione zen, come in una riflessione orientale, quel motivo della montagna, lo ripete come una preghiera mistica, nel senso etimologico del termine: "myo" in greco significa "chiudere, tenere chiuso", in riferimento al custodire un segreto, caratteristico dell'iniziazione ai culti misterici, e tanto caro ai Padri del Deserto.
Cézanne ripete continuamente le sue montagne per entrare in ciò che è altrimenti chiuso, sigillato, sotto il velo di Maya. Cézanne è in contemplazione, dunque, come davanti a una divinità mistica, che è la montagna dove lui ha vissuto, in Provenza, Mont Sainte-Victorie, che per lui è una grande madre. Mont Sainte-Victoire (una serie di opere, sia acquarelli sia dipinti a olio, realizzati nel corso di decenni) è una maternità di forme, contenute dentro la forma della montagna. Con questa intenzione dispone gli elementi in modo sempre diverso, combinando a piacere alberi, strade e case in mezzo al bosco, per dire sempre lo stesso, e stabilire una griglia dentro cui sentiamo che c'è una struttura geometrica, costituita di piramidi, cubi, sfere. La matematica è la sostanza permanente delle cose che vediamo scorrere e cambiare. La montagna si spezza, si percepisce un'idea di montagna, appena accennata, ma poi la stessa si scompone in riquadri, restituendo una forma protocubista. Siamo in effetti all'antefatto dell'astrattismo e del cubismo, ma dentro un esercizio spirituale, un pensiero filosofico di travolgente potenza e suggestione.
La lezione sarà intesa dagli artisti a lui contemporanei e dagli artisti del Novecento, che vedranno in Cézanne il loro padre. Anche il primo Giorgio Morandi, pittore che, come nessun altro, è legato al tema ossessivo della natura morta e del paesaggio, riconoscerà in Cézanne il suo padre naturale, il suo riferimento. E proprio opere come Mont Sainte-Victoire sono anche il segnale di uno degli elementi più tipici dell'arte contemporanea, cioè la riconoscibilità di un artista, in quanto insistenza su un soggetto: si pensi al taglio di Fontana, al sacco di Burri, alle nature morte di Morandi, alle forchette di Capogrossi. Tutte queste figure hanno un antefatto, che è appunto Mont Sainte-Victoire che, attraverso la ripetizione, stabilisce una riconoscibilità, oltre che stilistica, di uno schema mentale, che poi è l'immagine di un'idea, di un principio filosofico.
Con Mont Sainte-Victoire, come in un santuario, Cézanne stabilisce questo paradigma dell'arte contemporanea, che è la ripetizione di un tema, riuscendo ogni volta a essere originale. Come ogni natura morta di Morandi non è una ripetizione della precedente, ma una variazione, un diverso moto del cuore, così ogni volta che Cézanne guarda Mont Sainte-Victoire sente qualche cosa di più profondo che è dentro la natura. Ne sente la ragione, ne sente l'origine, ne sente l'anima.
Quando lo stesso luogo è interpretato da un pittore molto più emotivo come Pierre-Auguste Renoir (1841-1919), la montagna torna a essere luogo naturale. È la stessa Mont Sainte-Victoire, ma non ha quella immanenza, quella potenza, quell'energia. È una montagna decorativa. Alla fine di un bosco, con le piante, si vede la forma della montagna, che è la stessa di Cézanne, ma è una forma che appartiene a un ordine che lo sguardo del pittore può contenere.
Non è una forma dominante, una forma fremente come quella della montagna di Cézanne: la potenza di questa è autoevidente, è la montagna come dominio. Quella di Renoir è la montagna come sfondo, come scenario, come occasione.