MONTENAPO L’altro volto della via del lusso

MONTENAPO L’altro volto della via del lusso

Un nome, un destino, forse tanti penseranno. È indubbio che il termine Montenapoleone evochi in ognuno, e non solo nei milanesi, al turista come anche a chi intenda dedicare la giornata a uno shopping quanto mai raffinato, ma certo costoso ed esclusivo, una sensazione particolare: è un sentimento che oscilla fra il fascino irresistibile e la riverenza, il rispetto, e a volte anche il timore, quello che muove chi si avventura fra le celebri vetrine di questa via. Montenapoleone, lo sappiamo bene, non è però solo moda, eleganza, sfarzo: il viaggio nel lusso è al contempo un viaggio nella bellezza più autentica della città, sullo sfondo di una continuità fra tradizione e innovazione che è nostro compito saper individuare nelle pieghe di quello che il luogo stesso ci racconta. Proprio all’ascolto della voce di questo «pezzo di città» ci guida la nuova pubblicazione che Massimiliano Finazzer Flory dedica, dopo la Galleria, la Fiera, la Stazione Centrale e i Navigli, a quell’altro luogo simbolico della città che è la via del cosiddetto «quadrilatero della moda». Monte Napoleone (Skyra editore), volume corredato da 50 splendide fotografie d’epoca, ci presenta la via storica di Milano sotto una nuova prospettiva, che ne esalta il significato autenticamente estetico, filosofico, simbolico e che quindi la mette in relazione con la vocazione della città nel suo insieme. All’autore chiediamo di ricostruire questo significato.
Qual è allora la valenza simbolica di via Montenapoleone per Milano?
«Milano deve ritornare a credere all’eleganza come modalità con la quale offrire una innovazione creativa alla tradizione. L’eleganza è una bellezza educata, consapevole del mondo che la circonda. La speranza in questa prospettiva è di non scindere la sfera etica da quella estetica, anzi di riunirle con i simboli».
Montenapoleone è corpo di ambivalenze e di contraddizioni; è una bellezza moderna quella che esprime: viene da pensare a Baudelaire, a Rilke e ai grandi cantori di una bellezza sempre vibrante, quasi scandalosa e comunque mai pacificata e decifrabile.
«La sfida qui è abitare la contraddizione, perché nella modernità la bellezza non può più essere cercata solo nel piacevole, perché essa veglia anche le cose fuggevoli, transitorie. L’ambivalenza di Montenapoleone, in questo senso, è emblematica: architettura ottocentesca e accessori stagionali convivono. Strano no?».
Si parla spesso oggi di società della complessità. E complessa è la risposta che Montenapoleone offre a una città che si interroga seriamente, lei dice «filosoficamente», sul suo destino. La moda in parte vive all’interno di questa complessità, come i grandi miti del lusso e dello sfarzo che hanno da sempre definito l’anima di questo luogo. La sua architettura è invece sguardo altrettanto complesso al passato e ai suoi simboli. Come coniugare passato e futuro trasformando proprio questa complessità in progetto e azione?
«In primo luogo mettendo in luce ciò che è in ombra in Montenapoleone, ad esempio l’atmosfera borghese di un museo come Palazzo Bagatti Valsecchi oppure il fascino mistico della chiesa di San Francesco di Paola per rappresentarne valori e provocazioni».
Sfatiamo allora il cliché di «Quadrilatero della moda», o meglio, quale nuovo concetto della moda?
«La moda dovrebbe essere gioia di vivere, anticipazione antropologica e non merceologica. Quasi a dire che: “Prima c’è il collo, poi la cravatta...”. A me pare invece che anche in questo settore vi siano stress e stanchezza. Ad ogni modo al “quadrilatero” servono punti di aggregazione: caffè letterari, una libreria, un luogo dove confrontarsi e discutere, uno spazio per la meditazione notturna».
Ci può raccontare la sua prima esperienza con questa via? L’inizio di un viaggio a passo d’uomo?
«Con un calice di Prosecco, da Cova. Ma la vera esperienza accade nei pressi, in via Bagutta.

Non per la cucina che mi sembra sempre più piegata a gusti “democratici”, piuttosto per via del premio letterario, per l'emozione di vedere esposte le opere di Marin, Gadda, Sciascia. Pensare che questi uomini siano la meta del mio viaggio e che un tempo camminarono per queste vie mi emoziona e mi spinge a credere che la cultura abbia ancora vivi i suoi spiriti».

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